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  • Cicatrice ( 4a storia della saga Cicatrice)- parte 5

    Posted by Anonymous on Aprile 19, 2016 at 10:16 am

    CAPITOLO SETTE

    Il BALLO DI NATALE

    “Harry Potter”.
    Harry rimase là dov’era, conscio che tutte le teste  nella Sala Grande si erano voltate a guardarlo. Era esterrefatto. Tramortito. Stava sognando. Non aveva sentito bene. Non ci furono applausi. Un brusio come di api infuriate invase la sala; alcuni studenti si alzarono per vedere meglio Harry, seduto al suo posto come paralizzato. Improvvisamente, avvertì un forte bruciore alla gola.
    Al tavolo degli insegnanti, la professoressa McGrannitt era scattata in piedi e aveva oltrepassato rapida Ludo Bagman e il professor Karkaroff per parlottare concitata col professor Silente, che tese l’orecchio verso di lei, accigliato.
    Harry si voltò vero Ron e Hermione; oltre le loro teste, vide tutti i Grifondoro che lo fissavano a bocca aperta.
    “Non ho messo il mio nome nel Calice” disse Harry, con aria assente e la gola sempre più infiammata. “Voi lo sapete che non l’ho fatto”.
    Tutti e due si limitarono a restituirgli uno sguardo vacuo.
    Al tavolo principale, il professor Silente si era alzato in piedi e aveva fatto un cenno alla professoressa McGrannitt.
    “Harry Potter!” esclamò di nuovo. “Harry! Vieni qui, per favore!”
    “Vai!” sussurrò Hermione, dando una spintarella a Harry.
    Harry s’alzò, inciampò sull’orlo dell’abito e barcollò un po’. S’incamminò lungo lo spazio tra il tavolo di Grifondoro e  quello di Tassorosso. Gli parve un percorso infinitamente lungo; il tavolo principale non sembrava affatto avvicinarsi, e sentiva centinaia di occhi fissi su di lui, come tanti riflettori. Il brusio divenne ancora più intenso. Dopo quella che gli parve un’ora, si trovò di fronte a Silente, con gli sguardi di tutti gli altri insegnanti puntati addosso.
    “Bene…oltre quella porta, Harry” disse Silente. Non sorrideva.
    Harry oltrepassò il tavolo. Hagrid non lo salutò, sbalordito come tutti gli altri.
    Harry allungò la mano sul pomello, il mal di gola sempre più forte.
    Non appena ebbe varcato la soglia, però, tante piccole fiale cominciarono a rotolargli sotto i piedi, e lui inciampò, e dopo aver rotolato, si trovò faccia a terra in una piccola sala che somigliava molto a quella dei trofei del terzo piano, piena di teche di vetro che contenevano coppe e medaglie.
    Le fiale per pozioni scomparvero, e Harry, con la sicurezza di avere le ginocchia sbucciate, si pulì l’abito dalla polvere e cominciò a guardare attratto cosa contenevano le teche. Tutti i trofei emanavano una sorta di luce.
    Molto strano. Vi erano un medaglione e una coppa su una mensola della prima teca di vetro; un anello, un diadema su quella direttamente sottostante; sulla terza, erano posate due grandi piatti, uno d’argento e l’altro di bronzo, il primo raffigurate un serpente e su quello di bronzo un volto con una saetta….e poi, accanto a questi, vi era un diario dall’aria parecchio familiare.
    Il diario di Tom Riddle, forato proprio nel punto dove Harry l’aveva bucato con la zanna di basilisco.
    Sentiva un desiderio crescente di toccarli, sfiorarli…era alquanto insolito, ma sentiva di fare parte di essi, in qualche modo…ne era attratto, soprattutto da quel piatto con il volto con la cicatrice…
    E poi udì un tonfo, e al centro della sala comparve un tavolo. Con un plink, comparvero una ad una le sette boccette. Il nodo alla gola di Harry si fece ancora più intenso a quella vista. Si guardò intorno, ma non c’era acqua. Si girò di nuovo verso le fiale. Anche quelle contenevano liquido, giusto?
    Subito si gettò avidamente su di loro e, prendendone una, la stappò con una sete pari ad un uomo che vaga nel deserto…ma proprio quando se la portò alla bocca, non uscì nulla.

    La lasciò cadere, disperato, e si ruppe. Allora prese la seconda, la terza, ma erano vuote…

    “Harry, ti piace questo vestito?” gli chiese Hermione, riportandolo alla realtà.
    Harry sbatté le ciglia due volte, poi si guardò intorno; stavano passeggiando mano nella mano, affacciandosi alle vetrine dei negozi della Sezione Invernale alla ricerca di un vestito per lui.
    Mancavano pochi giorni alla Vigilia di Natale, e Hermione era riuscita a trascinarlo con un’abilissima persuasione fuori dalla biblioteca per cercare un abito adatto a lui in vista della cerimonia natalizia.
    Ora stavano ammirando una veste lunga e verde, che faceva a pugni con gli occhi di Harry.
    Era indeciso se farsela piacere o meno. Non ci volle molto per capire che non era tagliato per quel genere di cose.
    “Ehm…credo che tu te ne intenda più di me” gli confessò onestamente, mentre la ragazza osservava la vetrina con grande interesse.
    “Sì, può darsi” rispose lei. “In realtà, non sono una grande esperta nel fare compere…però sì, insomma, credo che ti stia bene. Tu che ne pensi?”
    Harry la guardò, scrollando le spalle. Si sentiva in imbarazzo, e indeciso.
    “Beh…ehm. Non lo so credo che tu abbia ragione. Quanto costa?”
    Hermione si avvicinò un po’ di più al vestito, lo sguardo indagatorio.
    “Cento galeoni” rispose, e un po’ triste si rivolse a lui. “Hai cento galeoni?”
    “Oh, io…sì, certo, credo di sì” disse lui, estraendo dalla tasca il borsellino.
    I suoi genitori non avevano mancato di lasciargli un po’ di soldi da parte per le necessità.
    Poco più tardi, Harry e Hermione uscirono dalla bottega con il vestito nel pacco, pronti a tornare alla torre Høst. C’era molta gente in giro, quel sabato pomeriggio, e i due ragazzi trovarono difficile farsi largo fra la folla che faceva via vai fra i negozi e fra un appartamento e l’altro.
    Erano riusciti a crearsi un varco, quando un gruppo di studenti  dalla divisa marrone tagliarono loro la strada. Portavano sulla spalla una borsa da Alchimisti – glielo aveva fatto notare Hermione, era uno dei corsi di orientamento della scuola- e proprio una di queste era aperta. Harry stava per farlo presente al proprietario, quando s’accorse che conteneva tantissime boccette, e  automaticamente sentì uno strappo alla gola; lo stesso del sogno e dei giorni precedenti. Aveva appena tirato fuori la fiaschetta con il suco di zucca, e stava per portarselo alle labbra – senza poter distogliere famelicamente gli occhi dalle fiaschette- che una delle pozioni si ruppe e cadde, e il contenuto si dissolse in una nube violacea.
    Lo studente se ne accorse subito e imprecò in norvegese, mettendosi le mani fra i capelli biondi. Poggiò la borsa a terra, per rimediare a quel disastro. Harry provò il desiderio crescente di andare verso la borsa e sfilare una delle boccette per soddisfare la sua sete, ma tentò di trattenersi, facendo finta di bere il succo mentre il ragazzo cercava di recuperare i pezzi rotti e uno dei suoi compagni gli porgeva una fiala vuota che, messa in terra, assorbiva la pozione distrutta. Mentre lo studente biondo chiudeva con il tappo la fiala, Harry non ce la fece più; impulsivamente aggredì la borsa, e le grida di Hermione furono solo un’eco distante quando la udì gridare: “Harry, ma che fai?”
    “Hei hvagjør dudeggal?” imprecò il norvegese, quando fu spintonato da Harry, che invece aveva solo una grande confusione in testa. Era dominato dal desiderio incontrollabile di possedere quelle boccette, perché solo quelle potevano soddisfarlo, il succo di zucca non gli bastava più…doveva averle, non gli importava come…
    Mentre afferrava con violenza la borsa, venne bloccato per le braccia da altri due giovani maghi, mentre il derubato rimaneva incolume, spaventato e confuso, e Harry si divincolava, urlando e chiedendosi cosa stesse capitando al tempo stesso. Poi la rabbia che aveva dentro sparì, il senso di sete diminuì, e restò spaesato, sotto gli occhi di tutti, rosso in volto, sudato, gli occhiali storti sul naso.
    “Harry! Santo cielo, lasciatelo!” gridò Hermione, gli occhi lucidi, rivolta ai ragazzi che l’avevano tenuto fermo.
    I due le gettarono un’occhiata veloce, poi si rivolsero a Harry e lo lasciarono cadere a terra con noncuranza.
    “Stupid kid Norsk!” gli gridò uno. Harry si rivolse all’aggredito, aiutato a rimettersi in piedi dai suoi amici. Come molte delle persone che avevano assistito alla scena, era rimasto impressionato, e veloce come un lampo sparì in fretta e furia, seguito dai suoi amici.
    Harry si sentiva un completo idiota; se aveva fatto in modo di essere notato da tutta la scuola e, per lo più, da dei completi sconosciuti, aveva agito nella maniera giusta.
    Hermione venne subito in suo soccorso.
    “Harry! O santo cielo, stai bene?” gli chiese agitata,  mettendogli una mano sulla fronte.
    “Ecco, io…non saprei” rispose a stento lui.
    “Bella scenata, Potter” emerse Draco Malfoy con la sua voce arrogante e canzonatoria dalla folla sparpagliata ma, come i giorni precedenti, ancora senza nessuno a tenergli compagnia. “Se pensavi che facendo questo saresti stato amato da tutti, sono sicuro che ci sei riuscito. Inoltre, adesso sono certo che se avevi qualche speranza di andare al ballo con qualcuno, ora tutte si faranno in quattro per te”.
    “Perché non pensi a te, eh, Malfoy?” rimbeccò Harry, che stava per rialzarsi con una gran voglia di fare a pugni, ma trattenuto da Hermione.
    Malfoy rispose con una sonora risata. “Ma io non ho problemi, Potter” e, scoccata un’occhiata fugace a Hermione, se ne andò.
    “Che cosa vuole, eh?” disse Harry, sconsolato. “Non mi basto da solo per rovinarmi la vita?”
    Hermione lo fissò intensamente, visibilmente turbata.
    “La cosa migliore è lasciarlo perdere” disse poi, lentamente. “Non dargli retta. Torniamo alla torre?”
    Aiutato da Hermione, Harry si rimise faticosamente in piedi. “Sì, anche se forse sarebbe meglio che andassi da solo…credo di aver bisogno di una bella dormita. Non m’importa se c’è Malfoy, non è un così gran pericolo”.
    Hermione abbassò lo sguardo, un po’ delusa. “Oh, beh, ok. E se ci incontrassimo più tardi? Magari in biblioteca? Ho delle questioni da sbrigare, e devo programmare il training di Ginny”.
    “Va bene” acconsentì Harry e, poco prima di allontanarsi, Hermione lo baciò inavvertitamente.
    Ancora stordito da quel gesto, Harry si diresse verso il suo dormitorio.
    Da una parte gli dispiaceva aver abbandonato Hermione, perché le aveva mentito; non aveva bisogno solo di una buona dormita.
    Doveva ancora finire di scrivere la lettera da inviare a Frank. Erano dicembre inoltrato, ormai, ma non aveva ancora scritto il p.s aggiuntivo da inviare a Neville.
    Era indeciso, infatti, se fare una lettera aggiuntiva solo per Neville, oppure informare anche Frank.  Ma aveva pensato che poi inviare due lettere sarebbe risultato troppo sospetto; e se qualche alleato dei Mangiamorte – nome a caso, Piton- avesse preso le lettere e le avesse nascoste agli occhi dei loro amici, vedendo che il destinatario era proprio Neville?
    Nelle ultime due settimane Harry aveva fatto strenue ricerche, ma non era riuscito ad arrivare a molto. Sentiva la necessità di Hermione, ma allo stesso tempo credeva che sarebbe stato troppo pericoloso informarla, non voleva coinvolgerla. Voleva proteggerla, esattamente come avrebbe voluto per la questione della spia. Se solo non si fosse messa a origliare, probabilmente a quell’ora sarebbe stata all’oscuro quanto Ginny.
    E Harry avrebbe giurato il silenzio. Ma avrebbe resistito così a lungo?
    Decise per quella volta di rinchiudersi in camera sua; se fosse arrivato Malfoy, avrebbe arrotolato la pergamena e sarebbe andato a scrivere da qualche altra parte, ma dubitava che gli avrebbe dato fastidio, soprattutto in quel periodo in cui era così lunatico.
    Il risultato di quel P.S. fu una lunga descrizione dei due sogni passati, e la preghiera di non informare assolutamente gli altri. Non poteva farlo.
    Ci aveva messo talmente tanto che non si accorse di aver fatto tardi all’appuntamento con Hermione e, dopo aver chiuso a chiave il cassetto dove era contenuta la lettera, si precipitò giù dalle scale e fuori dalla torre.
    Quell’ora insieme a Hermione era passata in silenzio; Harry era immerso nella lettura dei suoi libri, e Hermione nello studio. Ogni tanto le mani si sfioravano, e Harry la lasciava fare, anche se un po’ goffo e imbarazzato. Non era molto abituato a quei gesti di affetto.
    Harry bevve un lungo sorso di succo di zucca, per poi poggiarlo sul tavolo.
    Proprio in quel momento , Hermione sembrò illuminarsi e un ampio sorriso le coronò il volto.
    “Ma certo! Harry, è chiaro!” esclamò, pimpante.
    “Che cosa, esattamente, Hermione?”
    “Harry, credo di aver capito perché hai sempre sete!” disse lei, allegra, saltando sulla sedia.
    “Ah, davvero, spara allora”.
    La ragazza controllò che non ci fosse nessuno intorno a loro, e s’avvicinò a lui, bisbigliando:
    “Oh, semplicemente, beh, è solo una teoria, ovviamente, e non ti arrabbiare, ma…non credi che sia dovuto alle pozioni di Silente?”
    Harry provò un brivido lungo la schiena. “Che cosa te lo fa credere?”
    “Harry” sospirò Hermione, “immagino che tu sia chiesto perché l’acqua non ti soddisfa più. Non ne senti neanche la presenza. Sono giorni, settimane che ti porti dietro quel succo di zucca, che non placa comunque la tua voglia di bere. Ti ho osservato a lungo, credimi, lambiccandomi sul perché e il percome tu non riesca a bere delle bevande decenti. E poi oggi ti ho visto attaccare la borsa di quel ragazzo. C’erano delle fiale di pozioni, lì dentro. Il modo folle in cui hai agito, era come se ti avessero affamato e assetato per tantissimo tempo. E poi ci sono arrivata. Dev’essere quello, Harry. Credo che tu debba berle”.
    Harry s’irrigidì; aveva capito dove voleva arrivare. “Sto male quando le prendo, Hermione. Insomma, mi hai visto anche tu…”
    “Ma cosa ti costa provare? Insomma, sempre meglio avere una leggera febbre che comportarti come se fossi posseduto….”
    “Hermione….”
    “Per favore, Harry! Non fare resistenza, come tuo solito questo periodo! Lo so…lo so che l’argomento non è dei tuoi preferiti, ma se serve a farti star meglio, beh, preferisco che consideri almeno l’idea che possa essere una valida teoria” reagì la compagna.
    Harry restò in silenzio per qualche tempo e la osservò a lungo.  Aveva la sensazione che quello che diceva potesse essere vero, ma…perché correre il rischio?
    Sapeva fin troppo bene che assumere quelle fiale sarebbe stato solo peggio, nonostante le sognasse anche di notte.
    “La risposta è no, Hermione. Ci si vede più tardi”.
    Harry tornò nel suo dormitorio con tutti i libri che aveva preso dalla biblioteca, per poi rileggere la lettera che aveva scritto a Neville; non v’era nient’altro da aggiungere.
    Tuttavia non riuscì a concentrarsi, e quindi decise di scendere in sala comune per schiarirsi le idee.
    Era abbastanza popolata, ma quando s’affacciò alla finestra, vide che ce n’era molta di più fuori; tornavano con pacchetti e pacchettini dai vari negozi, e i professori rientravano nei loro appartamenti; Harry si rese conto con un forte senso di colpa che non aveva ancora fatto i regali. 
    Proprio in quel momento in cui si godeva la visione dall’alto dell’intera piazza, dove vi erano professori che ornavano abeti ai lati della grande piazza, e appendevano ghirlande con nidi di fate, Harry distinse fra la folla numerosa di studenti due ragazzi in particolare che venivano dal lato est della grande piazza, proprio verso le torri Vinter e Høst. Erano Malfoy e Hermione. Harry sentì una belva che lentamente si risvegliava in lui, brontolando contrariata nel suo stomaco, creandogli una sorta di fastidio. C’era qualcosa che non tornava in tutto questo…
    Poi Malfoy sembrò dirle qualcosa, e Hermione allungò il passo, allontanandosi da lui in gran fretta, ma l’altro l’afferrò con il braccio e la costrinse a voltarsi verso lui. Lei lo strattonò, sembrò ribattere con vigore e corse via, lasciandolo da solo.
    Vedendo la direzione verso la quale correva Hermione, Harry si tolse dalla finestra e si buttò sul divano, cercando di rilassare il viso per non far trasparire la gelosia.
    “Harry! Posso entrare?” chiese Hermione, bussando fuori dalla porta. Harry si ricompose.
    “Certo” disse, e fu con sorpresa che scoprì la voce calma e rilassata. “Entra”.
    Qualcosa scattò nella toppa e Hermione entrò nella sala comune sfregandosi le mani.
    “Fa un freddo fuori” osservò, con la voce che tremava, sedendosi sul divano accanto al camino.
    Harry s’alzò e la raggiunse lentamente.
    Hermione si voltò verso di lui. “Che hai?” chiese, preoccupata.
    “Niente” mentì lui, accomodandosi davanti a lei.
    Hermione strinse le labbra e corrugò la fronte, ma non  ribatté nulla, preferendo guardare il camino scoppiettante.
    Passarono dei lunghi minuti in silenzio, gli occhi della ragazza scoccavano sguardi allarmati a Harry, l’aria di chi sta aspettando il momento di dire qualcosa perché non riesce a trattenersi.
    Harry però non voleva parlarle. Si sentiva tradito, di nuovo, esattamente come quando aveva visto Ginny con Neville. Eppure stavolta era diverso; tra loro c’era stato qualcosa…qualcosa di vero, e il fatto che andasse in giro con Malfoy lo faceva arrabbiare. Forse avrebbe dovuto sfogarsi con lei, ma si vergognava.
    Perché usciva con lui, poi? Non doveva limitarsi a dargli ripetizioni?
    Insomma, l’idea di Hermione e Malfoy insieme era semplicemente assurda…sì, a lei era piaciuto, ma credeva che avesse imparato che lui non la voleva, no? E poi non erano neanche fatti per essere amici…
    Hermione aveva aperto la  bocca per parlare, ma Harry era già salito su in camera sua, senza neanche guardarla in faccia.

    Il ventiquattro dicembre arrivò prima che Harry se ne accorgesse. Quella sera si preparò e uscì dalla torre, rimanendo colpito dalla quantità di studenti e studentesse che stavano raggruppati davanti alla Sala da Pranzo, tutti agghindati elegantemente.
    Harry deglutì; sarebbe stata un’impresa trovare Hermione in quella folla.
    Coraggiosamente si fece largo fra gli studenti, ma non riuscì a riconoscere il suo viso in nessuna.
    “Harry! Sono qui!” lo chiamò Hermione, e quando Harry si voltò a stento la riconobbe.
    Si era trasformata. Indossava un lungo e aderente vestito celeste, e i capelli non erano più crespi, ma ondulati e luminosi.
    “Non ti avevo vista” si scusò lui, colpito da quel cambiamento.
    Hermione sorrise un po’ imbarazzata, mettendosi una ciocca dietro l’orecchio. “Sì, beh, ehm…ammetto di aver fatto un po’ tardi!”
    “Non importa” la rassicurò lui, con un sorriso.
    Le porte si aprirono e i ragazzi cominciarono a entrare, e così fecero i due.
    Non appena ebbero oltrepassato la soglia, Harry rimase stupito della magnificenza della Sala da Pranzo: a ridosso delle mura laterali erano stati collocati dei tavolini posti sotto archi lavorati con il vischio, e le ghirlande fatte con la stessa pianta comparivano e scomparivano negli angoli più impensati, soprattutto vicino alle coppie. Poco più in fondo c’era una lunga tavolata di buffet. Tutto era magnificamente addobbato con statue di cristallo, alberi di Natale da cui uscivano dei curiosi folletti volanti che distribuivano pacchetti appesi ai rami, e l’orchestra, dove dei ragazzi stavano provando gli strumenti.
    Ma la cosa che più spaventò Harry in assoluto fu la pista da ballo, che dominava il centro della sala.  Era come se avesse dovuto affrontare un mostro largo e quadrato. Aveva una paura tremenda; sarebbe stato costretto a danzare? Sperava vivamente che Hermione, intelligente com’era, gliel’avrebbe risparmiato.
    Gli studenti si raggrupparono tutti intorno alla pista, per un tempo che a Harry sembrò infinito; Hermione, al contrario suo, fremeva dall’emozione, e saltellava sui due piedi per vedere quello che accadeva oltre le teste dei norvegesi.
    Poi il maestro d’orchestra, un tipo dalla folta criniera grigia,  venne accolto dal pubblico con un caldo applauso e qualche fischio e, dopo aver fatto un breve inchino serioso, salì sullo sgabelletto dove avrebbe diretto i musicisti.
    La musica iniziò; era dolce e lenta, e con un applauso la Preside e il vicepreside aprirono le danze improvvisando un walzer.
    Furono seguiti da molte coppie, e Harry attese quel momento per buttarsi invece sul buffet, seguito da una delusa Hermione.
    “Andiamo a ballare?” chiese lei debolmente, guardandolo mentre Harry si riempiva il piatto.
    “Ehm…magari dopo” rispose lui, perdendo tempo nello scegliere le pietanze “adesso ho fame”.
    Hermione, con un sospiro, lo imitò.
    Harry portò il piatto a uno dei tavolini e cominciarono a mangiare in silenzio. Alcuni studenti si erano già accomodati, ma la maggior parte raggiungeva il centro della sala.
    Hermione guardava la pista con invidia e sospirando, il cibo e la burrobirra intatti.
    Mandava occhiatacce gelide a Harry che invece faceva di tutto per evitare di danzare.
    “Dai, andiamo?”
    “Aspetta” disse lui, soppesando la pagnotta farcita.
    Passarono altri lunghissimi, estenuanti minuti, in un silenzio imbarazzante.
    Alla fine, Hermione si alzò farfugliando qualcosa sul Whiskey Incendiario e sparì fra la massa di studenti.
    Non molto tempo dopo, comparve Ginny con un piatto di cibarie e occupò il posto vacante di Hermione.
    “Ehi Harry!” salutò allegra, azzannando un panino.
    Harry fu sorpreso da quella presa d’iniziativa; erano due settimane che Ginny non gli rivolgeva la parola, e spesso non la vedeva neanche a pranzo. Non poteva dire di sentirsi dispiaciuto da quel cambiamento di eventi.
    “Ciao Ginny” rispose lui. “Sei con qualcuno?”
    “Sì, con Hansen” rispose lei, rivolgendo uno sguardo distratto in fondo. “Ma ha visto che sua sorella è venuta proprio col tipo che non gli piace, perciò…credo che sia da qualche parte a dirgliene quattro”.
    Harry rise; nonostante tutto quello che era successo loro in quei due mesi e mezzo, era sempre stata piuttosto divertente. Tuttavia, il fatto che Hansen l’avesse accompagnata non lo preoccupò di meno. Anzi, si sentì inspiegabilmente interessato.
    “Non è un po’ troppo grande? Intendo dire… Hansen?” buttò lì, cercando di non far trasparire la sua ansia.
    Ginny sorrise sorniona. “Beh, un po’” concesse, “ma se non fosse stato per lui, probabilmente non sarei venuta… O forse l’avrei fatto, ma mi sarei sentita sola per tutta la sera…”
    “Potevi stare con me e Hermione” ribatté subito Harry, “alla fine, è una festa. Non devi per forza avere un cavaliere…almeno credo…”
    Ora fu Ginny a ridacchiare. “No, non credo, ma è meglio così; Hansen ha fatto un gesto di amicizia. Che ne pensi di questo cibo?”
    Harry gettò un’occhiata al piatto distrattamente, poi si rivolse di nuovo a lei.
    “Di certo comparato a quello di Hogwarts è una schifezza” commentò con un cenno.
    Ginny assunse un’espressione malinconica. “Già….ti ricordi quei bei banchetti a scuola? E i cracker magici? Qui non ci sono, i cracker magici. Ma più di ogni altra cosa, mi manca casa. Lo sai, mamma cucina una grande quantità di pietanze, e poi scartiamo i regali…mamma ci regala  maglioni fatti a mano con cucita l’iniziale del nostro nome….così quello che abbiamo è personalizzato…” un sorriso triste le spuntò sulle labbra, e in quel momento incrociò lo sguardo di Harry.
    E fu allora che in lui si mosse qualcosa. Non sapeva di cosa si trattasse, ma non le sembrò più una ragazzina di dodici anni dal corpo esile e da proteggere, bensì vide quasi…una donna, una ragazza dall’aria matura, che lo studiava, fiera; ma fu solo un attimo, e poi tornò a essere quella di sempre.
    “Mi dispiace per il mio stupido comportamento” disse, ed era come se le parole fossero uscite da sole. “Io…sono stato uno stupido quella volta. Non ti ho spiegato…tu avevi tutte le necessità del mondo di avere chiarimenti…e io ero turbato, e non ho pensato ad altro che a me stesso…”
    Ginny soppesò questa scusa, poi annuì.
    “Fa niente, Harry…davvero. Insomma, Hermione mi ha parlato, e mi ha detto che non stai passando un periodo facile. E poi affrontare quegli incubi, tutte le notti…è orribile. Non te l'ho detto prima, ma capisco il tuo turbamento, perché sei stato tu ad affrontarlo in prima persona. Anche io quando ero posseduta da Tom Riddle…”
    A quelle parole sbiancò, e con un gesto di Harry cambiarono argomento.
    Passarono quasi tutta la serata a parlare, e Harry non seppe come avessero fatto.
    Hermione non era ancora tornata; ogni tanto avevo sporto il capo per vedere dove fosse, ma era stato semplicemente impossibile trovarla, così si era dimenticato di lei ed era tornato a chiacchierare con Ginny.
    La musica era cambiata, ed era salito un gruppo folk sul palco che suonava ballate.
    Fu solo allora che Ginny lo guardò decisa e gli chiese: “Vuoi ballare?”
    “Oh, proprio no” rispose sinceramente Harry. “Non ne ho proprio voglia…”
    Ginny si alzò e lo tirò per le mani, costringendolo ridendo a fare lo stesso.
    “Dai! Tanto alla fine, che male c’è? Non ti vergognerai mica, vero?”
    “Ginny, dai…”
    Ma quella gli aveva tolto la sedia e lui fu costretto a rimanere in piedi.
    “Per favore, provaci, almeno. La gente si sta divertendo un mondo! Se non sai come si balla, ti insegno io!” lo esortò la ragazza, con un sorriso.
    Harry guardò la pista; tutti ridevano ed erano allegri…si vergognava, era vero, ma se proprio insisteva…
    “Solo una, sia chiaro” la ammonì severamente.
    Lei annuì vigorosamente. “Sissignore. E poi si torna a posto”.
    Rassegnato, si fece guidare da Ginny fino al centro della pista, il cuore che gli batteva forte.
    “Ecco” gli bisbigliò, “ora metti la mano attorno alla mia vita e io la metto attorno al tuo collo…”
    “Ma cosa…”
    “Harry, è così che si ballano i lenti!” spiegò lei, ridendo.
    I due ondeggiarono per un po’; alla fine era più tranquillo di quanto pensasse, e si sciolse un po’ di più.
    “Stai andando bene” gli mormorò la compagna.
    In quel momento gli venne in mente Hermione, e la cercò con lo sguardo per tutta la sala; tuttavia sembrava non stesse ballando, né si trovava all’angolo buffet, e nemmeno seduta ai tavolini da una parte e dall’altra della pista…forse avrebbe dovuto girarsi per vedere se era alle sue spalle…
    Quasi alla fine della canzone, i due si fermarono e Ginny indicò in alto.
    “Oh, Harry, guarda!”
    Harry la imitò; erano finiti dall’altra parte della sala, vicino alle mura, su cui era nato magicamente un ramo di vischio.
    Quando Harry incrociò gli occhi di Ginny, sentì le guance incontrollabilmente calde, e anche lei era arrossita.
    “Credo…credo che dovremmo baciarci, adesso…” tentennò lei, avvicinando il viso a quello di Harry.
    Harry era non si era mai sentito così in imbarazzo nella sua vita; cosa avrebbe dovuto fare?
    Avrebbe dovuto…? Ma Hermione…
    Prima che potesse rifletterci, le loro bocche si erano già incontrate; si trattava di un bacio semplice e dolce, tuttavia, scosse Harry ampiamente; gli vennero in mente delle immagini confuse…si trovava nella sua sala di grifondoro, e la stessa Ginny che aveva intravisto due ore prima, quella donna fiera e matura, gli veniva incontro con la divisa di Quidditch e lo baciava, sotto gli occhi di tutta la Casa di Grifondoro….
    Il baciò finì, e lui s’allontanò, più scosso e turbato di prima. La Ginny reale, quella piccola ed esile, lo guardava in cerca di risposte al suo sguardo sorpreso, ma non poteva sapere quello che Harry aveva visto; si era appena reso conto che quelle immagini appartenevano all’Harry Prescelto.
    Doveva valutare quello che aveva provato fino a due mesi prima. E anche quello che, ora che  si erano baciati, era stato sepolto. Provava delle cose per lei? E lei e Neville? Oppure…
    Qualcosa catturò la sua attenzione prima che potesse arrivare alla soluzione; poco più in là un Malfoy, riconoscibile fra mille, trascinava per un braccio Hermione fuori dalla sala, che ridacchiava in una maniera che non gli aveva mai sentito.
    Harry si rivolse a Ginny.
    “Scusami” le disse, mentre si allontanava, “è stato…bello”.
    Si fece largo fra gli studenti, fino a che nascosto fra i vari alberi di Natale non li intravide correre e ridacchiare. Era assolutamente stomachevole.
    “Da questa parte, Hermione” gli disse lui, e si fermarono davanti alla torre Høst.
    Hermione s’alzò con la punta dei piedi e gli schioccò un bacio sulle labbra, ridendo ancora divertita.
    “No, nella tua stanza o nel tuo dormitorio potrebbe entrare chiunque…se vogliamo stare da soli, forse è meglio che andiamo nella mia torre…sicuramente lì avremmo più tranquillità” propose Hermione.
    “Con tranquillità, intendi Potter?” disse Malfoy, con aria preoccupata.
    Harry vide Hermione rabbuiarsi.
    “Beh, sì. Anche se non credo che gli importi molto, di me. Non ha voluto neanche portarmi a ballare…”
    Malfoy saettò lo sguardo nervosamente dalla torre a Hermione, da Hermione alla torre, indeciso.
    “D’accordo. Andiamo alla torre Vinter” e, fattosi trascinare per mano da lei, corsero fino al dormitorio.
    Harry trotterellò dietro alla coppia, cercando di non farsi vedere e di non farsi beccare; ma era arrivato all’entrata, che la porta gli sbatté in faccia.
    Non poteva chiedere di entrare, se non con il risultato di essere scoperto a seguirli.
    Inutile tentare di scalare la torre; chiunque ci avesse provato, gli aveva raccontato Hermione, era finito dritto in infermeria per cinque settimane.
    Con la testa che gli pulsava di preoccupazioni, tornò in camera sua.
    Pensava continuamente a Malfoy e a Hermione. Perché lui ora la voleva, tutta d’un tratto? Non poteva concepire che fosse possibile una cosa del genere. 
    Malfoy e Hermione erano le persone più diverse  e più inadatte l’una all’altra che si fossero mai incontrate. E non credeva che Malfoy fosse abbastanza maturo da poter essere interessato a una come lei.
    Doveva esserci per forza qualcosa di sinistro dietro, che andava ben oltre la ragazza.
    Ma cosa?
    Con la testa che gli pesava e il gran sonno che gli gravava sugli occhi, s’addormentò vestito sul letto.

    Harry si svegliò qualche ora dopo, nel bel mezzo della notte; sentiva dei singhiozzi provenire dal piano di sotto. Si rivoltò su un fianco; Malfoy non era tornato in camera. Probabilmente stava con Hermione.
    Lentamente, scese a vedere chi fosse, entrando in sala comune.
    Fu con orrore che scoprì che era Hermione che, illuminata debolmente dalla luce di una candela, aveva in mano una lettera. La sua lettera, quella che Harry aveva dimenticato di spedire a Frank.
    “Perché l’hai fatto, Harry?” chiese lei, che si era accorta della sua presenza.
    “Come l’hai avuta, quella?” disse lui, ignorandola.
    “Che importanza ha, come l’ho avuta?” chiese lei, tra i singhiozzi. “Come hai potuto non dirmelo?”
    “Ha importanza. Hermione, come l’hai ottenuta?” insisté Harry.
    “Me l’ha data Draco” rispose lei, senza guardarlo.
    Harry si sentì montare dalla rabbia e dalla frustrazione insieme; come poteva averla presa? L’aveva messa nel cassetto, l’aveva…e invece con orrore si rese conto che non era andata così. Aveva pensato di averla posata, ma l’aveva lasciata sul letto, poco prima di uscire con Hermione…ed era da allora che non l’aveva più vista… Ma perché darla a Hermione? E poi ricordò l’uscita di Malfoy dalla Guferia, quel giorno in cui sembrava così malaticcio, il suo atteggiamento indagatorio riguardo alla sua corrispondenza, con quel sorriso sornione, di chi nasconde qualcosa…Il cambiamento di comportamento, l’avvicinamento a Hermione…tutto tornava. Non era più sicuro che Severus Piton fosse la spia.
    “Ma certo” disse, più a se stesso che a lei, “è chiaro. L’ha fatto per metterti contro di me. Ti giuro che te l’avrei detto, Hermione, non credere alle parole di quell’idiota…”
    “Draco non è un idiota” lo difese Hermione, ora voltandosi a guardarlo, “anzi, si è dimostrato molto più disponibile ad ascoltarmi e a capirmi di qualsiasi altro! Soprattutto di te, che in questo periodo sei così strano e distante…”
    “Certo! Sembra così, non è vero? Beh, non ti risulta strano che improvvisamente lui voglia stare con te, quando fino a tre settimane e mezzo fa non ti guardava neanche in faccia?” si scaldò Harry, che  non riusciva a capire come una ragazza come lei improvvisamente fosse così debole e fragile.
    Hermione si asciugò una lacrima. “Le persone cambiano”.
    “Certo, come no, soprattutto lui!”
    “Sì, invece è così! Le prime volte era freddo e scostante, ma adesso non più! Lui…ha cominciato a parlare con me, a dirmi delle cose che non sai, su come vive, su…sulla sua vita, e io allora gli ho detto come vivevo la mia, e mi sono trovava più bene con lui che con qualsiasi altro…”
    Harry la guardò sempre più scioccato e sorpreso da quel nuovo atteggiamento.
    “Hermione, non gli avrai detto anche dei nostri piani, vero?” chiese lentamente, con il cuore che gli batteva a mille.
    Hermione esitò.
    “No, io, cioè…”
    “Hermione, l’hai fatto?”
    “Figurati Harry!” rispose lei, contrariata. “Non sono così stupida, sai?”
    “Allora perché mai ti ha dato la lettera? Su quali basi…”
    “Harry, smettila di essere contro di lui! Me l’ha data e basta…è una persona… diversa da quella che immaginavo…e posso capirla molto meglio rispetto a quello che pensavo…”
    “Certo, tutto questo dopo che ti ha deriso e schernito per anni! Ottimo!” ribatté Harry, sempre più arrabbiato.
    “Beh, anche tu mi hai umiliata! Hai preferito ballare con Ginny e far aspettare me!” rimarcò Hermione, gli occhi lucidi.
    Harry strabuzzò ancora di più i suoi.
    “Hermione, lui ti sta dietro non perché è interessato a te, ma perché ha ricevuto una lettera dai suoi genitori o chi so io perché sanno che tu hai una cotta per lui, e ne è a conoscenza anche Malfoy, ed è stato costretto a farlo! Tu non gli piaci, è lo stesso imbroglione di prima! E sta giocando con te!”
    Hermione smarrì lo sguardo per un attimo, confusa. Poi ritrovò gli occhi di Harry.
    “E perché mai avrebbero dovuto costringerlo? Rispondimi!”
    “Beh, ho come l’impressione che gliel’abbiano ordinato” rispose il compagno.
    Hermione corrugò le labbra, contrariata e spaventata. Harry picchiò col piede per terra, sfogando in parte il nervoso.
    “Ma non capisci? Avevi ragione! La spia non è Piton, ma Malfoy! Sicuramente sarà in corrispondenza con qualche Mangiamorte! Pensa: noi siamo le persone più vicine a Neville, e per non destare sospetti avranno truccato il calderone o qualcosa del genere per far stare Malfoy con noi, in modo da non destare i sospetti e…e gli avranno detto sicuramente di sfruttarti, in modo tale da sapere tutto quello che serve loro per catturare Neville! Ti ha dato quella lettera perché il piano di Malfoy è dividerci, non permettere che lo faccia!”
    Hermione era un fiume di lacrime silenzioso; si sentiva offesa e ferita, Harry poteva immaginarlo. Ma le aveva detto semplicemente tutto quello che pensava, e un attimo dopo averlo fatto non era più tanto sicuro di aver fatto la cosa giusta.
    “Vattene, Harry. Ti prego” disse poi Hermione.
    “Lui dov’è? Ancora nella tua torre?” chiese lui, con la voglia di spaccare la faccia a Malfoy.
    “Vattene!” ripeté l’amica.
    “E noi?” chiese Harry, offeso.
    Hermione rise amaramente. “Quale noi, Harry? Due baci ? Quello non è un noi. Ora vattene. Anzi, no, sono io che me ne vado, e sai che ti dico? Sono fuori. Tieniti i tuoi giochetti per te” e, lanciatagli la lettera, sparì oltre la porta.
    Harry ringhiò, poi salì le scale ed entrò in camera sua, gettandosi sul letto. Voleva dormire, ma proprio non ci riusciva, poiché non poteva fare a meno di rivivere la litigata con Hermione.
    Senza starci troppo a pensare, andò verso la valigia, e l’aprì. Dopo aver tastato con la mano i vari oggetti e libri, tirò fuori l’astuccio con dentro le pozioni di Silente, e lo sfiorò con le dita.
    Esitò. Aveva detto che non l’avrebbe bevute, che quello che stava per fare l’avrebbe fatto stare solo male. Sì, male, ed era esattamente quello di cui aveva bisogno.
    Del resto, forse non l’avrebbe fatto star peggio di quanto già si sentiva.
    Slacciò il filo, e poi estrasse la prima fiala, la bevve tutta d’un sorso e la gettò a terra senza farci neanche troppo caso.
    Poi sfilò la seconda, e la terza, e la quarta, con quell’appagamento che non riusciva a dargli più il succo di zucca.
    Poi ingerì  la quinta e la sesta, con una velocità quasi simultanea.
    Chiuse gli occhi. La gola gli si era aperta di nuovo. Il senso di sete era stato soddisfatto. Hermione aveva ragione: il fastidio era sparito.
    C’erano tanti pezzi di vetro per terra, ma non gli importava. Anzi, con un sorriso sadico provò una certa soddisfazione a immaginarsi Malfoy rotolare su di essi e finire mento a terra, piagnucolante.


    Post Unito in automatico!

    CAPITOLO OTTO

    UN COMPLOTTO NECESSARIO

    “Harry! Sono io, Ginny! Posso entrare?”
    Harry si riprese dalle sue fantasticherie – per la verità, si era incantato a fissare Hermione e Malfoy nella piazza, presi a parlottare e a ridacchiare in quella maniera odiosa- e corse ad aprire a Ginny, che entrò fresca e sorridente nella sala comune, affollata di ragazzi e ragazze, la maggior parte in pigiama, venuti a fare gli auguri e a portare i regali.
    C’era un gran baccano quella mattina, eppure Harry e Ginny, seduti l’uno di fronte all’altra, non riuscirono a spiccicare parola. Forse per via di quello che era successo la sera precedente.
    Ora nel vederla Harry non riusciva ad evitare di sentire di nuovo quell’attaccamento prematuro verso di lei, come se fosse una sorta di predestinata. L’aveva sognata anche durante la notte, dove riusciva a parlarle e a ridere insieme a lei, nella stessa invidiata maniera in cui Malfoy parlava con Hermione.
    E invece ora che si trovavano a pochissima distanza, lui non riusciva proprio ad aprir bocca.
    “E’ stato divertente ieri” buttò lì Ginny, abbozzando un sorriso.
    “Già” rispose Harry, sentendosi le guance in fiamme. Il suo sguardo si posava sui ragazzi attorno a loro, evitando di guardare Ginny.
    Il problema era che si erano baciati. Non sapeva se questo facesse parte dei suoi più intimi desideri da sempre, poiché si era sentito soddisfatto anche quando aveva baciato Hermione; il punto era che lui proprio non riusciva a capire come funzionassero queste cose. Aveva la sensazione che i tempi fossero corsi un po’ troppo, e accadevano troppe cose allo stesso tempo, e lui non si sentiva pronto, per nulla.
    “Io….ehm…ti ho portato dei regali” disse Ginny, un po’ rossa in volto, estraendo dalla sacca un piccolo regalo.
    Harry lo prese fra le mani tremolanti, e lo scartò, pieno di senso di colpa. Lui non ce l’aveva, il regalo.
    Il pensiero di Ginny consisteva in un piccolo diario con il dorso cambia colore; in quel caso, era cambiato da un blu intenso a un rosso fuoco.
    “E’ a seconda dell’umore” spiegò lei, esitante, fissando con intensità le mani di Harry, “questo significa che…sei…” non finì la frase, perché anche lei avvampò.
    “Beh, grazie” disse piano lui. “E’ veramente…”
    “Questo è da parte di Hermione” lo interruppe Ginny, estraendo un secondo regalo e tendendoglielo. “Era riluttante a dartelo, in verità, alla luce di quello che è successo ieri. Ma….vedi, ho insistito perché ormai l’aveva comperato, e sarebbe stato brutto non dartelo”.
    Harry lo spacchettò, ammirando una maglia verde bottiglia con ricamature in oro con scritto il nome della scuola.
    “Dovrebbe essere della tua misura” osservò Ginny. “E sicuramente sta meglio a te che a Malfoy”.
    Harry sentì un groppo alla gola.
    “Voleva darla a lui?” chiese, senza fiato.
    “Sì” rispose Ginny, sprezzante. “Ma se l’avesse fatto, non le avrei parlato per tutta la vita. Sai, non la capisco proprio. Le piace da sempre, ma non ho mai capito perché”.
    Harry fece finta di non aver sentito.
    “Ginny, sono….magnifici.” commentò, scoccando un’occhiata triste al diario e alla maglia.
    Ginny sorrise, comprensiva. “Non importa se non hai nulla. A me almeno non importa. Del resto, ho fatto il regalo solo a te e a Hermione e non credo che ne riceverò alcuno da Neville”.
    Harry la guardò, perplesso. “Cosa vuol dire?” chiese.
    “Abbiamo rotto” rispose Ginny scrollando le spalle “molto tempo fa. Sempre che quella che avevamo potesse definirsi una relazione. Insomma… non è pronto per queste cose, e abbiamo deciso di piantarla non appena ci hanno smistato in scuole diverse”.
    Il cuore di Harry fece un balzo e cominciò a battere all’impazzata; non sapeva se definirla felicità oppure tristezza.
    “Mi…mi dispiace” fece, piano.
    “Non fa niente” sospirò Ginny, poi si alzò e fece per uscire. “Devo andare” spiegò, “devo darmi una sistemata e correre in biblioteca da Hermione. Mi fa ripetizioni”.
    “Oh, beh…va bene” disse Harry, sentendosi un po’ triste. “Dai un calcio a Malfoy se lo vedi, va bene?”
    Ginny fece una risatina prima di lasciare la torre maschile.

    Harry tornò in camera sua, ed estrasse la lettera che doveva spedire a Frank.
    Stringendola in un pugno, decise che era arrivato il momento di dover andare in Guferia.
    Così strappò un pezzo di pergamena e scrisse due breve righe, in aggiunta alla lettera che doveva spedire.

    Cari Frank, Neville, John e Richard,
    Buon Natale! Come avete passato la vostra vigilia?
    Spero mi raccontiate tutto presto. La mia è stata decisamente orribile – ma ve lo racconterò un’altra volta. Vi allego invece questa lettera – quella che dovevo mandarvi il mese scorso, che non ho fatto in tempo a spedire, e che è diretta a Neville e Frank ed è di vitale importanza.

    Harry

    Avrebbe proposto a Ginny di accompagnarlo, ma quando s’affacciò alla biblioteca notò come fosse impegnata con Hermione, che voleva assolutamente evitare, così decise di andare da solo.
    Salì le scale della Guferia, sentendosi sempre più disorientato.
    Aprì la porta stancamente,  e proprio mentre stava per prendere Arnold, sentì una fitta alla testa, tutto gli si oscurò e cadde.

    Con la testa che gli girava, aprì gli occhi, e scoprì con orrore di essere pieno di fuliggine, e sentiva vari punti del corpo doloranti; doveva essere pieno di lividi.
    Si rimise in piedi, reggendosi gli occhiali rotti sul naso. Era completamente solo e non aveva la più pallida idea di dove fosse. Poteva dire soltanto che si trovava sulla pietra del camino e di quello che sembrava un negozio per maghi, debolmente illuminato…di sicuro, non si trovava nella Guferia.
    In una teca di vetro c’erano una mano avvizzita, appoggiata su un cuscino, un mazzo di carte macchiate di sangue e un occhio di vetro che lo guardava fisso. Dalle pareti, maschere dall’espressione maligna sembravano spiarlo, sopra un bancone era accatastato un assortimento di ossa umane e dal soffitto pendevano strumenti arrugginiti e acuminati. Ma la cosa peggiore di tutte era che la strada stretta e buia che Harry intravedeva attraverso la vetrina polverosa gli ricordava la via oscura di Diagon Alley.
    Prima usciva di lì e meglio era. Con il naso ancora dolorante nel punto in cui aveva sbattuto con la pietra del focolare Harry si affrettò a raggiungere silenziosamente la porta, ma era appena a mezza strada quando, dall’altra parte del vetro, apparvero due individui…uno dei quali era l’ultima persona  che Harry spaesato, coperto di fuliggine e con un paio di occhiali rotti sul naso avrebbe voluto incontrare in quel momento: Draco Malfoy.

    Harry aprì debolmente gli occhi mentre sentiva la porta aprirsi e qualcuno entrava nella Guferia.
    Sollevando debolmente le palpebre, si accorse che era proprio una testa biondo quasi bianca, che identificò per quella di Malfoy, a fare capolino dentro la Guferia. Per fortuna Harry si trovava in penombra e l’altro non l’aveva visto, così filò a nascondersi dietro le casse di cibo per gufi.
    Fu con il fiato sospeso che Harry lo spiò scegliersi un gufo e tirare fuori da sotto il mantello una lettera.
    Malfoy aveva un viso corrugato e serioso, piuttosto concentrato. Sembrava stesse trattenendo le sue emozioni, ma non ce l’avrebbe fatta per molto.
    Harry poteva giustificare quel comportamento: di certo fingere di volere bene a qualcuno che si odia non doveva essere proprio una passeggiata.
    Malfoy legò alla zampa del gufo la sua missiva, e poi lo spedì oltre la finestra della Guferia.
    Harry trattenne il fiato finché non uscì, ma fu proprio quando stava per aprire la porta che Harry inciampò per via di un topo e tirò un singhiozzo.
    Malfoy si bloccò e controllò intorno a se, allarmato, tirando fuori la bacchetta. Poi Harry si rannicchiò, tappandosi la bocca e il rauco che aveva in gola.
    Malfoy sembrò sempre più spaventato, e fu con uno sbattere d’ali di un gufo che corse via lasciando la porta aperta.
    Harry emerse da dietro le casse e strisciò fuori dal nascondiglio.
    Prese la lettera, e con decisione la legò alla zampa di Arnold, pieno di pensieri.
    “Fai il bravo, d’accordo?” disse salutando il gufo, carezzandolo sotto il mento con amore.
    Tuttavia si accorse appena della scomparsa dell’uccello fra le nubi.

    Hermione e Malfoy non sembravano essere  andati mai così d’amore e d’accordo.
    Harry si annoiava, aspettando Ginny, all’ora di cena, fissandoli come un programma televisivo.
    Malfoy sembrava piuttosto diverso da quello che aveva visto non solo quella mattina in Guferia, ma in tutti gli anni precedenti; era così amorevole con lei, in quel modo così forzato, e tuttavia così apprezzato dalla sua amica, che era palesemente una recita.
    “Sono in ritardo?” salutò Ginny, mettendosi seduta davanti a lui e coprendo quello spettacolo raccapricciante.
    “Non molto” rispose Harry, tranquillizzandola, tuttavia lo sguardo fisso oltre la sua schiena.
    Ginny lanciò a Malfoy e a Hermione un’occhiata di disapprovazione.
    “Non credo di aver mai visto una cosa tanto orrenda” commentò, disgustata.
    “Neanche io” convenne Harry, cercando di concentrarsi sul suo salmone affumicato.
    Ginny gli scoccò un’occhiata rammaricata. “Capisco quanto ti dispiaccia…insomma, c’era parecchia intesa fra voi due…soprattutto per quel…verme”.
    Harry e Ginny si guardarono per lunghi, lunghissimi attimi. Probabilmente, rivedendo in lei la donna che sarebbe stata, Harry l’avrebbe baciata in quell’esatto istante, ma fu ben altro quello che gli balenò in testa.
    “Ginny, credo di doverti aggiornare su qualche novità”. Ginny alzò lo sguardo su di lui, gli occhi che le brillavano. “Si tratta di loro, e ha a che fare in modo spiacevole anche con me. Con tutti noi” continuò, abbassando il tono della voce.
    “Va bene” annuì Ginny, “ma qui non è sicuro. Ne parliamo in biblioteca. E’ molto grande, non credo che ci vedranno”.

    Il giorno dopo, con la scusa di dover approfondire certi argomenti, Ginny si fece trovare da Harry in biblioteca per le dieci e mezza.
    Harry non si era mai sentito così felice di vederla come quella mattina; finalmente sarebbe riuscito a levarsi quel groppo che aveva allo stomaco, che gli impediva di esplodere e di abbandonarsi completamente.
    Ginny era nella seconda parte della biblioteca, seduta a un tavolo all’estremità delle mura, tra due scaffali. Era ben nascosto, proprio il luogo ideale per una confessione.
    Ginny s’accorse presto della sua presenza. Si  voltò nella sua direzione, e quando lo notò lo salutò con un sorriso. Harry rispose di rimando con un nervoso cenno del capo, prima di sedersi in gran fretta davanti a  lei.
    “Sei proprio sicura che non compaiano all’improvviso?” chiese Harry stridulamente.
    “No” rispose serena l’altra, “sono andati a fare compere. Allora, cos’era che volevi dirmi?”
    Harry fissò le mani, che s’agitavano sul tavolo come in preda ad un tic.
    Il risultato fu un lunghissimo silenzio, pieno d’imbarazzo.
    Al momento della verità, Harry non poté negare di trovarsi in serie difficoltà; ora doveva riporre in Ginny tutta la sua fiducia e, per quanto affidabile fosse, non era Hermione.
    Forse non lo sarebbe mai stata.
    “Sono qui” disse Ginny, i grandi occhioni scuri che lo osservavano, in attesa che parlasse.
    Harry le prese automaticamente le mani e le strinse, e un attimo dopo esitò di nuovo. Era un gesto che non gli apparteneva. Non sapeva che cosa aveva fatto.
    Ginny lo guardò intensamente, tuttavia non sembrava né sbalordita né spaventata.
    L’espressione era quella fiera e risoluta, che aveva acquistato in quei mesi di difficoltà e di settimane passate insieme. Sì, doveva ammettere che dimostrava di più della sua età, e non era solo l’ombra della ragazza matura che sarebbe stata, i suoi occhi lo dicevano.
    Harry ebbe la sensazione, mentre i loro visi si studiavano, di sentirsi anche lui nell'anima molto più vecchio della sua età biologica, che avesse vissuto tante avventure – più di quelle che aveva vissuto da quando era arrivato a Hogwarts due anni prima-  ed era ora costretto in un corpo così piccolo, gracile ed impreparato alle avversità. Aveva bisogno di un amico, soprattutto in quel momento in cui la sua persona di riferimento l’aveva abbandonato. Doveva fare qualcosa.
    Ginny gli strinse la mano, e Harry si sentì a casa.
    Cominciò a parlare, aggiornandola sugli ultimi eventi, come il suo ultimo sogno, quello che era successo la sera del ballo e dei sospetti su Malfoy.
    Harry si sentiva via via più leggero.
    Ginny lo seguiva serena, sorbendosi tutto quello che aveva visto e fatto; forse, ora che era arrabbiato, il racconto era ancora maggiormente dettagliato rispetto ai soliti che faceva con Hermione.
    “Quindi hai ingerito le pozioni perché eri arrabbiato con Hermione” constatò Ginny, quando il compagno ebbe finito “e ti sei fatto non male, peggio. Però sono contenta del tuo miglioramento; almeno non impazzisci in mezzo alla folla”.
    Poi avvicinò il volto al suo, e abbassando la voce aggiunse: “Credi davvero che Malfoy centri qualcosa con questa storia? Voglio dire, alla luce della tua gelosia…” Harry emise un grugnito che però lei non diede segno di notare, “ sei totalmente sicuro che quei due non si piacciano?”
    Harry e Ginny si guardarono per un momento, considerando l’ipotesi.
    “Impossibile” dissero all’unisono, scuotendo il capo rassegnati e allo stesso modo.
    “Almeno, non da parte di Malfoy” precisò Harry, “si vede fin troppo bene che sta fingendo”.
    “Sì, beh, ad ogni modo” sorvolò Ginny, “questa situazione non piace neanche a me, e prendendo in considerazione quello che mi hai detto, al posto tuo non la penserei diversamente”.
    Harry batté un pugno sul tavolo, sentendosi appoggiato dall’amica e allo stesso tempo arrabbiato con Hermione. “Quanto è cocciuta! Se solo capisse… Hermione non vuole vedere la verità, è solo questo…è così intelligente!”
    Ginny tenne gli occhi bassi, un’espressione furba che si dipingeva sul volto.
    “Beh, aspetta, forse…forse un modo ci sarebbe!” disse lei, titubante.
    Harry la guardò in attesa, il cuore che gli batteva forte.
    “Forse dovremo fare quello che ha fatto lui a te….se riuscissimo a rubare una delle sue lettere…” cercò di dire, per poi rivolgersi al compagno in attesa di una risposta.
    Harry si bloccò; gli sembrava un’ottima idea, ma un secondo dopo averlo pensato gli vennero in mente dei dubbi. Sarebbe stato giusto ripagare Malfoy con la stessa moneta in cui aveva agito per metterlo in cattiva luce? D’altro canto, non vedeva via d’uscita…
    “Credo che possa andare bene” approvò, anche se non pienamente convinto.
    “D’accordo” disse lei. Poi seguì un'altra pausa di silenzio, Ginny che si arricciava  la ciocca rosso fiamma fra le dita e Harry che si tormentava le pellicine delle unghie; sentì la mente leggermente annebbiata.
    “Direi che ci serve un piano” cominciò Ginny, risvegliando la sua attenzione.
    “Oh sì, anche io mi chiedo cosa contenga l’uovo” convenne Harry, e dall’espressione di Ginny si rese conto di aver detto qualcosa che non c’entrava nulla.
    “Scusami, credo che sia l’effetto delle pozioni” spiegò, un po’ imbarazzato. L’ultima volta che dalla sua bocca erano uscite parole che erano collegate alla sua vita parallela, aveva nominato qualcuno di nome Fierobecco.
    Si schiarì la voce, pregando con tutto se stesso che il calore sulle sue guance si dissolvesse.
    “Dunque, credo che faremo così…io…cercherò di stare dietro a Malfoy, in modo che non se ne accorga e tu…tu prova a tenere Hermione distante da Malfoy, magari riusciremo a…”
    “Ma come è possibile, Harry? E’ lo stesso piano di Malfoy, che a essere sinceri non è così geniale; ha funzionato solo per via della tua sbadataggine. E Hermione è intelligente, capirà subito che li stiamo tenendo divisi perché abbiamo in mente qualcosa…” obiettò Ginny interrompendolo, gli occhi stretti su di lui.
    Harry si sentì smarrito per un momento, la mente che cercava di ricostruire un piano alternativo.
    “Beh allora…faremo in modo di avvicinarci noi a loro…tu cerca di interessarti al loro rapporto, con maggiori informazioni possibili. Poi ci incontreremo e…e ci diremo quello che abbiamo scoperto” riferì.
    “Ma tu come farai, Harry? A me può anche confessarmi tutto quello che le passa per la testa, ma non credo proprio che Malfoy lo farà con te” osservò Ginny.
    Aveva ragione. Come fare? Diventare amico di Malfoy, no sicuro; c’erano troppi screzi e differenze fra loro per poter creare un’amicizia – sbalorditivamente Malfoy e Hermione c’erano riusciti, ma tutti e due avevano un interesse dietro, perciò non contava molto.
    Doveva quindi trovare un sistema alternativo; cercare di prendere la lettera…
    “Non credo che Malfoy faccia leggere a Hermione la sua corrispondenza” commentò Harry, a voce alta.
    Ginny scrollò le spalle. “Beh, certo,  altrimenti a che servirebbe il piano?” chiese.
    “Sì io…cercherò di sfilargli la lettera il meglio che posso…Potrei…Potrei…”
    E fu allora che gli venne in mente l’idea, proprio quando incrociò lo sguardo di Ginny.
    Automaticamente Harry le prese le mani, e le strinse.  Si sentiva bene, come se avesse trovato la soluzione a tutti i problemi.
    “Forse ho l’idea, Ginny! Ma fino ad allora, devo avere almeno un qualche segnale da parte di Malfoy o di una qualche risposta da parte di chiunque con cui sia in contatto. Intanto, tu cerca di interrogare Hermione il più possibile, portala a fare…un giro, si un giro! E poi mi racconterai tutto, va bene?”

    Erano passati due giorni dalla fine del Natale, e già si parlava della fine dell’anno. C’era un grande chiacchiericcio, anche se  da quello che aveva capito non ci sarebbero stati grandi banchetti, né un altro ballo (il solo pensiero faceva rizzare i peli sulle braccia di Harry).
    Il ventotto dicembre, Harry decise di dirigersi in Guferia per controllare che la lettera fosse arrivata.
    Doveva sapere cosa avrebbe risposto Neville. Era arrivato ai piedi della torre della Guferia, che per poco andò a sbattere contro Hermione.
    “Oh…ciao, Harry!” fece lei, arrossendo di colpo.
    Lui la ignorò e andò oltre.
    “Harry! Aspetta, dobbiamo parlare! Fermati!” continuò lei, afferrandogli un braccio.
    Harry si districò dalla presa, evitandole di guardarla in faccia, e continuò a salire le scale.
    Non gli importava se l’avrebbe seguito; non le avrebbe dato la soddisfazione di girarsi.

    “Nessuna risposta da parte di Neville?” chiese Ginny, mentre s’imburrava il pane, più tardi a pranzo.
    “No” rispose tristemente Harry. “Hai saputo qualcosa da Hermione?” chiese poi.
    “Sì” confermò lei, “ci incontreremo più tardi; dice che deve acquistare dei volumi e ha bisogno della mia presenza in modo assoluto. Chissà di cosa dovrà parlarmi…”
    Harry grugnì, tornando alle sue verdure controvoglia. “Probabilmente di Malfoy”.
    “Io non credo” ribatté Ginny, sorridendo timidamente e lanciando una breve occhiata alle spalle di Harry.
    Il ragazzo si voltò e dietro di sé incrociò lo sguardo di Hermione, che gli fissava la schiena in maniera malinconica. Era da sola, e sul tavolo aveva aperto un libro.
    Harry si chiese mai dove potesse essere Malfoy; ma l’aveva appena pensato, che quello arrivò e si sedette accanto a lei, l’aria frustrata; Harry si girò immediatamente, ma tenne le orecchie ben aperte per sentire la conversazione. Ginny continuava a mangiare, ma dalla sua espressione capì che stava ascoltando.
    “Che hai?” chiese Hermione a Malfoy, preoccupata.
    “Non ho niente” rispose lui, contrariato. “Continua a mangiare, va bene?”
    Seguì un momento di silenzio. Harry incrociò lo sguardo di Ginny, che rifletteva la sua tensione. Sapevano entrambi che Hermione aveva assunto un atteggiamento ancora più apprensivo.
    “No” la sentirono infatti entrambi ribattere vigorosamente, “non lo farò. Ci frequentiamo da una settimana, e fino ad adesso mi hai sempre detto tutto. Ora…ora è da due giorni che sei strano, che sei…sei cambiato, e ti vedo così poco! Vorrei sapere cosa ti turba. Io posso aiutarti!”
    “No che non puoi aiutarmi” ringhiò Malfoy, frustrato, “Nessuno può.  Sono impegnato.”
    “Se solo mi dicessi quello che ti assilla, io potrei” insisté Hermione, pazientemente, “l’ho fatto con Harry per anni, gli sono stata accanto…io credo che…”
    “Beh, io non sono Potter, d’accordo? Credi davvero di riuscire a risolvere i problemi di tutti? Lasciami in pace” sbottò Malfoy.
    “E’ visibilmente scandalizzata” bisbigliò Ginny a Harry. Il ragazzo si girò leggermente, giusto il tempo di intravedere con la coda dell’occhio il viso agitato della loro compagna.
    “Draco” sospirò Hermione “se tu non vuoi parlare, va bene. Ma sappi che io sono qui, e che se hai bisogno di me…”
    “Io non ho bisogno di nessuno” rispose acidamente lui e,  sollevato lo sguardo, si accorse dell’attenzione che Harry e Ginny riservavano alla scena. Così s’alzò e s’allontanò da Hermione, che lo guardava, senza capire.
    “Oh…d’accordo” commentò, ferita, gli occhi lucidi.
    Come passò accanto al loro tavolo, Malfoy riservò un’occhiataccia a Harry e Ginny. Tuttavia non aggiunse nient’altro e, con viso cupo, uscì dalla Sala da Pranzo.
    Harry si sentì libero di girarsi completamente verso Hermione, ora, che stavolta però non sembrava guardarlo. L’espressione era confusa, anche se si ostinava a concentrarsi sul suo libro, inutilmente.
    “Dobbiamo assolutamente risolvere questa situazione” commentò poi, rivolto a Ginny. “Cercherò di pedinare Malfoy il più che posso, troverò un espediente. Tu, intanto, parlale, convincila a confidarti con te. È fondamentale, ora più che mai”.

    Quel pomeriggio Harry ragionò su quando attuare il suo piano; in quel momento Malfoy era in camera loro, forse a leggere la lettera di risposta.
    Nel momento in cui scese e uscì silenziosamente dalla sala comune, Harry salì nella stanza.
    Si diresse al comodino di Malfoy, e aprì i cassetti per vedere dov’era la lettera.
    Ma dentro non v’era nulla. Certo, che sciocco che era stato! Probabilmente non avrebbe mai deciso di nascondere lì la lettera, se pensava che qualcuno avesse voluto scoprire la sua corrispondenza, oltretutto perché l’unica chiave per i cassetti l’aveva Harry.
    Doveva cercare altri indizi. Forse aveva nascosto la lettera nel baule, o forse no, ma era probabile che avrebbe trovato sicuramente qualcosa di interessante da mettere lì dentro, se stava progettando un piano maligno.
    Allora si dedicò al baule. Puntò la bacchetta che aveva nella tasca dei pantaloni al lucchetto, mormorando: “Alohomora”.
    Il baule si aprì con un click, e la catena finì subito in terra.
    Il cuore di Harry cominciò a battere per l’emozione. Finalmente avrebbe scoperto i piani di Malfoy!
    Sollevò il coperchio leggermente. L’interno rivelava vesti di mago, un set di boccette d’inchiostro, quattro piume, cinque pergamene e un diario.
    Interessato, prese il diario…ma aveva appena cominciato a sfogliarlo che sentì dei passi dietro la porta. Subito quindi lo chiuse e lo lanciò sotto il letto di Malfoy, richiudendo il baule di scatto.
    Poi, con il cuore che andava all’impazzata, si buttò sul suo letto, fingendo di dormire.
    Malfoy si rivelò sulla soglia. Entrò senza parlare – anche se Harry sentiva chiaramente il suo sguardo addosso- e sentì i suoi passi che andavano verso il baule.
    Il cuore di Harry batteva sempre più forte, i muscoli gli si tendevano per l’ansia.
    “Senti un po’, Potter” fece Malfoy, con tono inquisitorio. “Sai per caso perché il mio bagaglio è aperto?”
    Harry non rispose.
    “Potter, credo di averti fatto una domanda” continuò tagliente il compagno.
    Harry lo ignorò, finché non udì dei passi e qualcosa di pungente sulla gola.
    “Potter, devi spiegarmi perché il mio baule è aperto. Adesso”.
    Harry fece finta di svegliarsi solo in quel momento, accorgendosi di un Malfoy che gli puntava la bacchetta alla gola.
    “Io non so proprio niente” rispose Harry, cercando di darsi un’aria disinvolta. “Forse l'hai lasciato così prima di uscire. O forse, qualcuno è entrato mentre dormivo”.
    Malfoy fece una breve risata amara. “Non penso. Sai, ho ragione di credere che sia stato tu a rovistare fra le mie cose, data la tua capacità di farti gli affaracci di chiunque”.
    Harry sostenne il suo sguardo gelido; non voleva che Malfoy leggesse sul suo volto la colpevolezza. Anzi, era l’ultima cosa che desiderava al mondo, perciò disse a se stesso di restare calmo, anche se non era per niente facile.
    “Non so proprio di cosa tu stia parlando” ripeté, sempre con tono calmo. “E in ogni caso, anche se volessi sarei più che giustificato”.
    Malfoy fece un sorriso vittorioso, inaspettatamente ritirò la bacchetta e la mise nella tasca.
    Poi tornò alla porta.
    “Al contrario di te, Potter, io sono molto, molto più furbo” sentenziò. “Ti tengo d’occhio”.
    Grazie al cielo non aveva visto cosa mancava dentro il baule!

    Anonymous ha risposto 8 anni, 7 mesi fa 0 Mago · 0 Risposte
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