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Elaborati di Settembre
NightMagic191
Buio… sempre e solo buio.
Da quando era finito lì dentro, non aveva avuto altra compagnia all'infuori dei propri pensieri. Spesso si era chiesto se fosse morto, ma aveva appurato che i morti non soffrono come invece faceva lui.
Aveva perso il conto dei giorni che aveva trascorso lì. Non una finestra, non una porta, solo l'oscurità più assoluta. Le mura erano spesse come quelle di un fortino, e l'umidità lo avvolgeva come un sudario. Eppure era ancora in salute. Non aveva mai visto in faccia i suoi aguzzini, ma era grazie a loro se era ancora vivo.
A orari diversi, per non dargli il senso della giornata, una figura Disillusa si Materializzava nella sua cella, lasciando una ciotola di cibo e una tazza d'acqua. I primi giorni si era rifiutato di toccarli: quando la figura era tornata per consegnare il pasto successivo e aveva trovato la ciotola intatta, lo aveva Schiantato per somministrargli da mangiare, poi lo aveva fatto rinvenire e se n'era andata. Dopo diversi turni passati in questo modo, aveva deciso di mangiare da solo.
E poi, un giorno, iniziò la febbre. Brividi incessanti lo scuotevano da capo a piedi, e a malapena riusciva a mandar giù un sorso d'acqua. Quando la figura comparve per il pasto successo, depositò una fiala nella ciotola vuota e scomparve. Dapprima fu tentato di ignorare anche questa silenziosa imposizione, ma poi si impose di berne il contenuto. Il liquido bruciava come l'Acquallegra, ma dopo qualche istante (o forse delle ore?) i brividi cessarono di colpo.
Chiunque lo tenesse prigioniero lì, non voleva che morisse… ma perché?*************************
Un giorno, ristabilitosi dalla malattia, provò a parlare con il suo carceriere. La figura comparve per portare la razione di cibo, e lui ne approfittò per tentare.
– Dove sono? – chiese, con voce roca e quasi irriconoscibile.
La ciotola che la figura stava per posare si fermò a mezz'aria.
– Dove sono? Chi è lei? Che volete da me? – domandò ancora.
La ciotola riprese il suo moto e si depositò sul pavimento.
Con uno scatto che non avrebbe saputo prevedere neppure lui, si sporse in avanti e prese il polso del suo carceriere.
– Mi lasci andare! – sibilò la figura, sorpresa. Era una voce di donna.
– Dove sono? – ripeté lui per la terza volta.
– Non deve importarle. – rispose lei in un soffio.
– Almeno mi dica cosa vuole da me. –
Con un ultimo strattone, lei liberò il polso e lasciò la ciotola.
– La prego… – chiese con un filo di voce.
– Non mi è permesso parlarle. – rispose asciutta.
– Chi glielo impedisce? E' prigioniera anche lei? – domandò lui, intravedendo uno spiraglio di salvezza.
La donna emise un rantolo, come se il solo pensiero la facesse soffrire.
– Potrei aiutarla… Potremmo fuggire insieme. – cercò di tentarla. Per un attimo, l'unico suono che riuscì ad udire fu il suo respiro regolare. – Si fidi di me. –
– Come potrei? –
– Non ho più niente da perdere, non le pare? –
La donna restò in silenzio, ma si capiva che stava riflettendo.
– Come si chiama? – le chiese.
La sentì esitare, poi sussurrare appena: – Vinda. –
– Ha un bellissimo nome, Vinda. Il mio è Percival… Percival Graves. –[n.d.a.: Vinda Rosier sarà tra i seguaci di Grindelwald nel prossimo film; da quel che ci è noto, Graves potrebbe essere ancora vivo e tenuto prigioniero da Grindelwald, che avrebbe estorto le informazioni necessarie dal suo prigioniero.]
SARAH
«mamma esco» urlò Jane aprendo la porta di casa e respirando l'aria fresca di montagna. Era tornata da Hogwarts da poco e sentiva la mancanza di quella libertà vacanziera.
Si fermò per decidere dove andare e dopo un attimo di riflessione si gettò giù dal pendìo correndo a perdifiato finché non arrivò in una radura. L'aveva scoperta da pochi giorni e non l'aveva ancora esplorata come il resto della montagna che conosceva benissimo il che era abbastanza ovvio dato che che veniva la da una decina di anni poiché in quel momento ne aveva quindici.
Lentamente si mise a passeggiare per il posto finché non venne attirata da una cosa brillante: c'era un piccolo fosso che conteneva… monete d'oro, collane e monili preziosi!!
Molto stupita di aver trovato così tanta fortuna in un bosco, Jane fece per prendere una bella collana di diamanti quando le si parò davanti un piccolo animaletto con un naso rosa, abbastanza lungo e la pelliccia nera: dato che lo aveva studiato a scuola capì senza dubbio che quello era uno Snaso!
Ecco svelato il mistero dei preziosi in mezzo al bosco: erano i tesori che lo Snaso aveva accumulato!!
Dopo la sorpresa iniziale, Jane cominciò a trovare lo Snaso molto simpatico e cercò di addomesticarlo e di avvicinarlo ma quello aveva paura e si allontanava, così alla fine decise di andarsene a casa.
– «che hai fatto oggi?» le chiese la madre a cena «non mi hai detto nulla, di solito sei molto loquace…»
– «hm» rispose Jane distrattamente poiché stava pensando allo Snaso. Forse il giorno dopo avrebbe potuto avvicinarlo di più.
– «Jane, è successo qualcosa oggi? Ti stai comportando in modo strano» insistette la madre guardandola con fare inquisitorio.
– «no, no» rispose la ragazza. Aveva deciso di tenere per se la scoperta dello Snaso perché la mamma avrebbe potuto restituire la refurtiva dell'animale e quello non si sarebbe più fidata di lei. Jane voleva solo fare amicizia con il piccolo Snaso…
Il giorno dopo uscì portandosi del cibo decisa a fare dello Snaso un compagno di giochi. Andò nella radura dell'altro giorno e nel fosso ritrovò l'animale che si mise a fissarla con i suoi piccoli occhi neri. Lentamente Jane tirò fuori dalla bisaccia una fetta di prosciutto e la lasciò a terra, dopodiché si allontanò di una decina di passi. Lo Snaso si avvicinò esitante, annusò il cibo e cominciò a mangiarlo con gusto. Da quel momento si fece anche toccare da Jane della quale cominciò a fidarsi sempre di piú e i due divennero inseparabili tanto che la ragazza decise di dargli anche un nome: lo chiamò Jhon.
Un giorno, mentre stavano insieme sul prato, Jane ebbe sete e avendo finito l'acqua e le toccò risalire la collina per andare a prenderne un po'. Quando tornò vide che Jhon era sparito!!
– «JHON» urlò disperata «dove sei?»
Cominciò a correre per tutto il bosco quando sentì dei passi sul sentiero avanti. Con cautela si avvicinò e vide Jhon intrappolato in una gabbia così si lanciò in avanti per liberarlo ma qualcuno le fece uno sgambetto: avanti a lei le si parò un uomo vestito con una tunica nera, grosso e pelato che le puntò la bacchetta contro.
– «non dire a nessuno quello che hai visto o te ne pentirai» le sbraitò contro, poi afferrò Jhon e corse via.
Jane stava ancora a terra, spaventata e ansimante. Non sapeva che fare: aveva paura di seguire l'uomo ma voleva anche salvare Jhon. E se non fosse tornata prima di sera? I genitori si sarebbero preoccupati! Ma non poteva lasciare il povero Snaso al suo destino, molto probabilmente l'uomo avrebbe venduto la sua pelliccia al primo che trovava in città. Si alzò e decise: sarebbe rimasta leale al suo nuovo amico e lo avrebbe seguito anche in capo al mondo.
Prese il suo zaino e dopo un attimo di esitazione si diresse verso il posto dove era corso l'uomo.
Camminò per molto tempo attraversando il bosco in posti dove non era mai andata, era tutto così tranquillo che sembrava non stesse compiendo una missione ma che stava in gita…
Camminando per un sacco di tempo e dormendo poco, dopo tre giorni arrivò ad un sentiero e, sperando che l'uomo avesse preso proprio quella strada, lo seguì. Piano piano cominciò a vedere dei comignoli di delle case che vennero poi sostituiti dalle case intere: era finalmente arrivata in città! Gironzolò un po' per le vie molto disorientata dato che era scesa in città una sola volta in tutta la sua vita e cioè quando aveva cinque anni, finché non venne attirata da una voce familiare…
– «venite signori, venite. C'è un piccolo Snaso che io venderei per la modica somma di… mille galeoni!! Accorrete, accorrete»
Jane si precipitò sul posto e vide Jhon nella gabbia con l'uomo che lo teneva urlando. Fremente di rabbia, Jane si fermò tra la folla a riflettere: stava in un villaggio di maghi e con tanti maggiorenni nessuno si sarebbe accorto che una minorenne facesse un incantesimo. Estrasse la bacchetta e puntandola contro l'uomo sussurrò «confundus».
L'uomo si fermò disorientato e si guardò intorno, poi cominciò a sparare frasi a caso come: «si, devo andare dal dentista» o «auguri signora per il suo compleanno»
– «buffone vattene, qua si devono fare cose serie, non c'è posto per i buontemponi come te» esclamò qualcuno tra gli spettatori.
L'uomo, sempre confuso, andò nel bosco dove lasciò tutta la sua roba e continuò a camminare e gesticolare come un pazzo.
Jane corse verso la gabbia di Jhon e la aprì poi prese l'animaletto in braccio e lo abbracciò forte sussurrando:
– «non ci lasceremo mai più, te lo prometto»GinevraLovegood
“Rettilimens?” ripetè Jacob, confuso.
“Legilimens” articolò nuovamente Newt, con pazienza.
“Legilimens. Quindi lei… vede i pensieri nella mia testa, tipo… tipo uno schermo? Appaiono come le nuvolette dei fumetti?” domandò Jacob, con una risatina nervosa.
“Non esattamente. Non credo possa vederli, ma sicuramente li percepisce” continuò Newt. “Credo possa essere l’equivalente magico dell’empatia” riflettè, prima di tornare a picchiettare nervosamente le dita contro il materasso.
Jacob era incredulo. Quella era stata, senza alcun dubbio, la giornata più strana della sua vita: prima il prestito negato, poi l’arrivo di Newt con quella strana valigia, e infine l’attacco da parte di quelle… cose. Non sapeva perché Newt, Tina e Queenie fossero così diversi da lui, così… strani. Possedevano capacità che andavano oltre i sogni più arditi di un pasticcere appena tornato dalla guerra. Usavano quei bastoncini bizzarri e riuscivano a vedere nella testa della gente, come dei maghi! Solo il pensiero gli sembrava folle; era diventato impossibile distinguere le favole dalla realtà.
“Ma anche tu sei un Lochness?” chiese di colpo a Newt. “Cioè, tutti voi riuscite a…”
“Legilimens” lo corresse di nuovo Newt. “E no, è una capacità rara, pochi maghi riescono a esercitarla e gestirla. Ora mi scusi, ma devo fare una cosa importante”. Con grande incredulità di Jacob, si infilò completamente sotto il lenzuolo, tirandoselo fin sopra la testa. Chissà che accidenti stava combinando!
“Leggimesse” ripetè tra sè e sè. Certo che riuscire a leggere nel pensiero… doveva essere un dono meraviglioso e terribile. Non sapeva se, potendo scegliere, avrebbe voluto possederlo. Queenie aveva visto i suoi pensieri senza nemmeno volerlo, e si era trovata catapultata dentro un’anima buona e di natura ottimista, ma schiacciata e disillusa dai fallimenti e dai rimpianti della vita, oltre che in stato di shock per gli avvenimenti vissuti nelle ultime ore. Se lei riusciva davvero a sentire quello che sentiva lui, con la stessa intensità, come poteva portare il suo personale fardello e anche quello di tutti gli altri? Come poteva quella deliziosa biondina allegra e sorridente fare i conti con i problemi dell’umanità ignara?
“Ci muoveremo non appena saranno andate a letto” mormorò Newt riemergendo dalle coltri. “Ci muoveremo… dove?” domandò Jacob, notando che era completamente vestito sotto il lenzuolo e che stava ammucchiando sotto il letto il pigiama datogli da Tina.
“Deve sapere, signor Kowalski…” cominciò Newt, ma fu interrotto da un bussare deciso alla porta. Tina entrò con un vassoio sul quale erano appoggiate due tazze fumanti. Il profumo era delizioso. Jacob ne prese una, ringraziando, e cominciò a bere la sua cioccolata calda; in quel momento notò Queenie che lo osservava da dietro le spalle della sorella. Si sorrisero. “Levittimens” sospirò Jacob, toccandosi leggermente il collo dove quel ratto schifoso l’aveva morso. Queenie rise di una risata argentina, e di colpo Jacob sentì un pensiero che lo paralizzò: “Legilimens” gli diceva la voce di Queenie, dolce e leggermente scherzosa: lei non aveva nemmeno mosso le labbra. Quel pensiero non suo gli invase la mente, sovrapponendosi agli altri: non aveva mai provato nulla di simile. “È questo che si prova a leggere nella mente degli altri?” si domandò. Queenie annuì nella sua direzione, sorridendo. “Legilimens” ripetè Jacob, quasi paralizzato dalla meraviglia, mentre la porta si chiudeva.
Dubitava che l’avrebbe più dimenticato.
Ancora nessuna risposta. Inizi tu?
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