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La Fine( storia conclusiva della saga Cicatrice)- parte 3
Capitolo 4
LA PROFEZIA
“Abitiamo in una piccola casa di campagna fuori da Ottery St Catchpole…non ci vorrà molto” rassicurò Ron al volante con tono nervoso.
Harry guardava fuori dal finestrino, sfinito; il paesaggio brullo e verdeggiante aveva lasciato spazio a grandi pianure e campi coltivati, dove ogni tanto spuntava un piccolo paesino dall’aspetto romantico. Aveva perso sensibilità alle gambe, per colpa del peso di Frank e di John. Harry ricordò tutto a un tratto che la macchina non era così scomoda: gli apparve ben in mente il largo spazio che vi era all’interno, con otto posti a sedere e dove una volta era entrata anche la sua civetta Edvige più l’intera famiglia Weasley al completo. Forse ricordava male.
La macchina continuava a viaggiare sballottolando i passeggeri da una parte e dall’altra. All’inizio Harry aveva provato un senso di vomito, ma alla fine ci si era abituato.
L’unica a non averlo fatto forse era Louise, che sedeva comodamente accanto a Ron sul sedile anteriore. “Ron! Vuoi guidare meglio questo coso?” chiese acidamente.
A Ron sfuggì un grugnito irato.“ Se pensi di essere capace a fare di meglio, allora guida tu!” e lasciò il volante.
La macchina sembrò precipitare improvvisamente verso il basso; Harry si sentì afferrare dall’ombelico in giù, i peli che gli si rizzavano sulle braccia e provò un senso di terrore.
“Ron!” imprecò Louise, gettandosi sul volante. L’auto tornò nuovamente a volare.
Seguì di nuovo il silenzio. Poi Harry udì lo spingere frenetico di un pulsante. “Maledizione!”
“Che stai facendo?” ringhiò acida Louise.
“Il pulsante!” fece Ron, tesissimo. “Non funziona! Quello per modificare le dimensioni della macchina…dev’essere saltato via! Sono tre ore che ci provo!”
“Ma a che serve? Non hai detto che siamo arrivati?” squittì Louise, nervosa quanto lui.
“ Ehi, tu, vedi di..ARGH!” gridò Ron. “Il volante!”
“Ron, sei un disastro!” gridò Louise.
Harry non ebbe il tempo di decodificare la situazione; gli altri sembravano svenuti dall’afa, perché non rispondevano.; si svegliarono solo quando la macchina sembrò ribellarsi e cominciò a piroettare su se stessa, andando su e giù come un toro imbizzarrito.
“Che succede?” fece Hermione debolmente.
“Ron! La macchina….” sussultò Frank.
Ma ormai né Ron né Louise potevano fare nulla: avevano perso il controllo del veicolo, il cui motore partì veloce come il vento e sfrecciò nel cielo come una Ferrari in pista.
Poi puntò verso il basso, sempre velocissima. Poi rallentò e scese sempre più giù, ed Harry ebbe modo di vedere più chiaro il paesaggio…
L’automobile continuava ad abbassarsi: ora, attraverso gli alberi, brillava il contorno di un sole vivo e splendente.
Poi prese di nuovo la rincorsa, per finire quasi a schiantarsi contro la porta della casa dei Weasley. Poi fece retromarcia per qualche metro e si fermò al centro del cortile.
Harry, emozionato, scese dall’auto prima degli altri (aiutato da un pugno a molla che partiva dal sedile).
Si mise in piedi e si pulì i vestiti dal fango e dalla terra, per poi alzare lo sguardo verso la Tana.
Era esattamente come la ricordava: un tempo sarebbe potuto benissimo essere stato un grosso porcile in pietra, ma qua e là erano state aggiunte delle stanze per un’altezza di diversi piani, assumendo un aspetto piuttosto contorto che probabilmente era retto in piedi dalla magia. Sul tetto rosso facevano capolino quattro o cinque comignoli e, proprio come Harry rammentava, notò che accanto all’entrata vi era un’insegna sbilenca fissata a terra dove si leggeva: ‘La Tana’. Harry vide anche che dietro la porta principale erano ammucchiati degli stivali di gomma e un calderone arrugginito. Molte galline marroni ben pasciute menavano beccando qua e là per l’aia.
Ebbe un tuffo al cuore, e si sentì stranamente portato indietro nel tempo quando, nella sua vita precedente, Ron e i gemelli Weasley l’avevano salvato dalla casa dei suoi zii e l’avevano portato lì da loro. L’avevano salvato da un destino probabilmente segnato.
Si sentì pieno di gratitudine come allora, e a rivedere la Tana aveva provato le stesse identiche emozioni di quella prima volta.
“Non è un granché” ammise Ron, squadrando l'abitazione.
“Ma è magnifica!” esclamò Harry felice.
“Molto bene” fece poi Ron, attirando l’attenzione di Harry. “Ora facciamo così: mamma non deve vederci. Dobbiamo cercare le chiavi del capanno senza farci vedere. Quindi entriamo dentro casa senza fare rumore. Qualcuno entrerà e qualcuno sistemerà la macchina, mamma non deve sapere che è tornata qui. E se ci scopre, Ginny spunterà saltellando da un angolino e piagnucolerà qualcosa tipo: ‘mamma mamma aiuto ho paura..’ ”
“Senti, Ron..” stava per reagire Ginny, ma il viso logoro del fratello li spinse a voltarsi tutti nella direzione dove stava guardando.
La signora Weasley stava attraversando il cortile a passo di marcia, gettando scompiglio fra i polli. Era la solita donna bassa e rotondetta, dai lineamenti del viso gentili, nonostante in quei momenti assomigliasse notevolmente a una tigre dai denti a sciabola.
Guardava soprattutto i suoi due figli. Nonostante Ron fosse il più alto della famiglia, si fece piccolo piccolo quando la madre si avvicinò e si mise le mani suoi fianchi, sostenendo il loro sguardo imperiosa. Harry notò che faceva un’impressione incredibile, nonostante avesse un grembiule a fiori e una bacchetta le sporgesse leggermente dalla tasca.
“Dove siete stati?” tuonò la madre. Poi il suo sguardo si spostò su quello che sembrava inevitabile da nascondere. I suoi occhi si ingigantirono e sembrarono lanciare fiamme.
“E QUELLA?” urlò, lo sguardo fisso sulla macchina che faceva retromarcia e puntava ad inseguire i polli usciti dal recinto.
“Mamma, noi…” cominciò Ron.
“SILENZIO! Non avete alcun diritto di parlare! Vi rendete conto del disastro che avete combinato?”
Si sgolò ancora per un po’, dove Harry si sentì investito di tutte le colpe. Sembrava non finisse mai, poi invece terminò, e con sguardo più dolce la signora Weasley volse verso il resto del gruppo.
“ Sono contenta di vedervi sani e salvi, dopotutto. Venite e fate colazione: sarete affamati dopo tutto quello che è successo”.
Con dei cenni nervosi, Harry, sentendosi fiacco e stanco, s’incamminò verso casa, seguito dai suoi compagni altrettanto moribondi.
Dopo aver lanciato uno sguardo nervoso a Ron, che annuì con fare incoraggiante, Harry attraversò la soglia di casa.
La cucina era piccola e piuttosto ingombra. Nel mezzo c’era un misero tavolo di legno con delle sedie; Harry si sedette sul bordo di una di esse, e i suoi compagni lo imitarono.
Harry si guardò intorno, cercando di ricordare i dettagli di quella casa che aveva visto così tante volte.
L’orologio sulla parete di fronte, aveva una sola lancetta e niente numeri. Sul quadrante c’erano scritte cose come:’Ora di fare il the’, ‘Ora di dar mangiare ai polli’ e ‘Sei in ritardo’.
Sulla mensola del camino, uno sopra l’altro, erano accatastati libri con titoli come Incantate il vostro formaggio, Incantesimi di forno, altri libri di cucina e, a meno che le orecchie non lo ingannassero, la vecchia radio vicino al lavandino aveva annunciato: ‘”L’ora della magia, con l’incantatrice pop Celestina Warbeck”.
La signora Weasley andava avanti e indietro per la cucina, bisbigliando: “Non so cosa avete per la testa” e “ero così preoccupata” e intanto continuava a preparare da mangiare.
Harry lanciava occhiatine dalla signora Weasley ai suoi amici, altrettanto stanchi e troppo sfiniti per parlare.
Ron e Ginny, nonostante le espressioni logore sul viso, avevano ancora la forza di guardare spaventati la madre. Così , quando lei gli ordinò impaziente di apparecchiare la tavola per dieci, non fecero obiezioni ed eseguirono.
Fosse stato per Harry, avrebbe chiesto gentilmente di infilarsi in qualcuna delle stanze e riposarsi…ma qualcosa gli suggeriva di restare.
Non credeva di avere fame, finchè l’odore di salsicce e bacon non si sparse nella stanza, e lo stomaco brontolò.
L’odore della colazione arrivò e sembrò illuminare le espressioni di John e Richard, le più stanche e depresse.
“Mangiate” ordinò loro la signora Weasley, “e riposatevi. Dopo dovremmo parlare”.
Harry era troppo affamato e gratificato dalla vista della colazione per capire la gravità di quell'affermazione.
Non appena ebbe infilzato la salsiccia con la forchetta e se la fu portata alla bocca, masticando lentamente, provò un enorme sollievo e fu colmato il vuoto in fondo allo stomaco. Il suo cuore si riempì di felciità: era sicuramente la cosa più buona che avesse mai mangiato o almeno lo era stata dopo tutto quel tempo.
Non si preoccupò di avviare una conversazione, così come non lo fecero gli altri, troppo presi dal cibo.
La signora Weasley sembrò prevedere il momento adatto, dopodiché rientrò nella cucina e spaziò lo sguardo, fino a concentrarsi sulla nuova ferita di Harry.
Si avvicinò, incuriosita. Harry aveva tentato in tutti i modi di coprirla con il ciuffo ribelle che gli cadeva sulla fronte, ma questo non era bastato a nasconderla.
In un battibaleno davanti a lui aveva la signora Weasley che esaminava la ferita a forma di saetta, così simile a quella di Neville. I loro visi erano così vicini che il caldo respiro della madre di Ron gli appannava gli occhiali, la sua espressione attenta come se volesse imparare a memoria il disegno della ferita.
Harry scambiò un’occhiata impaurita con Neville, che prese subito provvedimenti e si abbassò i capelli sul viso per nascondere la cicatrice sulla fronte.
“Come te la sei fatta questa?” chiese la madre dei Weasley a occhi sgranati. Si mise le mani sulla bocca e si allontanò a piccoli passi da Harry, come se avesse visto qualcosa di spaventoso.
Harry la osservò, senza parole. Come avrebbe potuto spiegarglielo? Non sarebbe riuscito a trovare le parole adatte…
“Che cosa è successo a Hogwarts? Perché siete andati a prendere Neville, quando sapevate che tutte le scuole erano in contatto con l’Ordine, e che avrebbero provveduto a salvarlo?”
“Ma mamma, se lui…”
“Taci Ginny!…E anche tu, Ron! Mi pare di avervi sgridato quel che basta da tenere la bocca chiusa! Vi rendete conto dei rischi che avete corso? Naturalmente no, giovani incoscienti, siete solo dei ragazzi! Frank, tuo padre era preoccupatissimo…e anche i tuoi, Harry! E tu, Luna, sono meravigliata anche di te! Ginny mi aveva detto che eri una ragazza responsabile…”
“Io sono qui” fece improvvisamente Neville, grigio in volto. Tutti lo fissarono.
“Sono sano e salvo. L’Ordine è arrivato troppo tardi. E anche i miei amici. Non c’era una via di fuga…e V-Voldemort…è …è tornato”.
Seguì il silenzio. La signora Weasley lo guardò fra il serio e il preoccupato.
“Lo so benissimo, Neville caro. Lo sanno tutti. Ma santo cielo, siete dei bambini! È stato l’Ordine della Fenice a liberarti, e ha dovuto proteggere anche tutti voi! Questo non sarebbe stato necessario, perché eravate già protetti nelle vostre scuole…”
“Questo non è vero, dato che sono stato rapito!” ribatté coraggiosamente Neville.
“Come diavolo pensate di proteggermi, se i Mangiamorte entrano nelle scuole protette dal Ministero e mi rapiscono? Quale diavolo di controllo vantate, se ogni barriera magica è abbassata?”
La signora Weasley si morse il labbro inferiore, colpita per un attimo dalle parole di Neville. Lo guardò intensamente per qualche tempo, poi la sua attenzione si focalizzò nuovamente sulla fronte di Harry.
“Tutto questo è molto strano. Dobbiamo capire molte cose…preparatevi. Vi porto al Quartier Generale”.
“Che cosa?” scattò Ron. “Ma noi non possiamo! Dobbiamo…AHIA!” si lamentò, perché Hermione, accanto a lui, gli aveva schiacciato il piede con il suo. Harry l’aveva intravisto sotto il tavolo di legno.
La signora Weasley guardò intensamente Ron, sovrappensiero.
“Niente scuse, Ron! Forza, si parte fra un’ora. Ora riposatevi”. .
Appena ebbero varcato la soglia della cucina, Harry avvicinò Ron.
“Non abbiamo tempo per dormire. Dobbiamo fuggire adesso!”
“D’accordo. Andiamo tutti in camera mia”,
I ragazzi salirono le rampe di scale. Harry provò un brivido di emozione quando vide davanti a sé la porta con scritto ‘Stanza di Ronald’.
Quando entrò la riconobbe subito. Era come entrare in una fornace: quasi tutto, a partire dalle pareti e dal copriletto, era di un rosso e di un arancione acceso. In realtà bastò uno sbattere di ciglia per accorgersi che le intere pareti erano coperte dai poster dei Cannoni di Chudley, che Ron tanto amava. I libri di scuola erano ammucchiati in un angolo, accanto a una pila di fumetti della serie Le avventure di Martin Miggs, il Babbano matto.
Sul davanzale della finestra c’era una boccia da pesci piena di uova di rana.
Gli altri effetti erano dispersi per la stanza; Harry saltò un mazzo di carte da gioco Autorimescolanti sparse sul pavimento e guardò fuori dalla finestra, scorgendo fra i campi gnomi da giardino avanzare furtivi in fila indiana verso la casa.
Poi si voltò a guardare Ron, che fissava tutti in cerca di approvazione.
“E’ un po’ piccola” si affrettò a dire Ron, “Non è come quella che avete voi a casa vostra…e poi io mi trovo proprio sotto il fantasma che vive in soffitta. Non fa che picchiare sui tubi tutto il giorno”.
Harry ricordava come, il primo giorno che era arrivato alla Tana nella sua vita precedente, Ron gli avesse fatto lo stesso identico discorso.
“E’ la casa più bella del mondo” disse, con un largo sorriso.
A Ron si arrossarono le orecchie.
Intanto Louise si era chinata a sfogliare i fumetti di Martin Miggs, come se fosse stata in cerca d’ ispirazione.
“Ehm ehm” fece Hermione, guardando in tralice la compagna. Louise, con un balzo, rimise a posto i fumetti e si aggiustò i capelli, imbarazzata.
“Direi che non abbiamo tempo da perdere, giusto?” continuò Hermione.
“Qual è il piano?”
“Oh, sì…giusto. Ma prima non sarebbe meglio riposare?” propose Ron, con uno sbadiglio.
Hermione puntò i piedi. “Direi che non è il momento, Ron!”
“Hermione ha ragione” convenne Frank, distogliendo lo sguardo distratto da Richard, che come al solito era come se fosse stato assente. “Dove si trova la tenda, Ron?”
“Nel capannone, insieme agli attrezzi Babbani di papà. Ma non sarà facile prenderlo. Per questo dobbiamo trovare la chiave…oppure di solito papà fa qualche incantesimo di protezione alla porta, così Fred e George non entrano per rubargli gli oggetti”.
“Andrò io” si propose Ginny.
“Non dire sciocchezze” ribatté Ron contrariato. “Tu sei mia sorella e sei troppo piccola per queste cose….Poi ti pare che sai dove papà nasconde la chiave?”.
Ginny lo fulminò con lo sguardo. “Non è vero che non lo so e non è vero che sono troppo piccola! Sono arrivata fin qui! E quindi adesso vengo con voi e vado a prendere quella stramaledettissima tenda! E poi non mi sembra che tu abbia avuto niente da controbattere quando mi sono calata giù per il tombino a prendere la passaporta, quando siamo fuggiti da Hogsmeade…”
Le orecchie di Ron si arrossarono di nuovo.
“Benissimo. Io vado” continuò, risoluta.
Harry non poté fare a meno di sorridere quando i loro occhi si incontrarono.
“Ti servirà questo “ rise, mentre le porgeva il Mantello dell’Invisibilità.
Ginny accettò con un sorriso. Avanzò verso la porta, poi prima di uscire disse:
“Sai è una fortuna che mamma non ti abbia sentito quando stavi per cantare, Ron.
Lo sai che non si perde neanche un dettaglio per scoprire le nostre marachelle”.
E uscì.
“Sai, Ron, ha ragione” convenne Luna, rivolta alla porta che si chiudeva.
“Bene, e noi che facciamo?” disse Frank a Ron e Harry.
“Aspettiamo” rispose Harry.
Luna però guardava ancora il punto dove Ginny era sparita.
“Ragazzi…dov’è Neville?”
Per la prima volta, Harry guardò la stanza e si accorse che, effettivamente, Neville non c’era.
“Vado a cercarlo” fece, ma Ron lo fermò.
“Ti accompagno”.
“No” insisté Harry, sereno, “tranquillo. Conosco bene questa casa, ricordi?”
Ron gli sorrise nervosamente. “Ah…già”.
Rassicurato, lo lasciò andare.
Harry cercò nella stanza di Ginny, ma non c’era, e neanche in quelle di Charlie o di Percy.
Bussò a quella di Fred e George. Nessuno ripose. Allora avvicinò l’orecchio alla porta.
Qualcuno singhiozzava all’interno. Senza farsi sentire, aprì piano la porta e sbirciò dentro.
Era Neville. Era seduto sul bordo di uno dei due letti, e gli dava le spalle.
Il cuore di Harry inevitabilmente si addolcì. Che pena, Neville!
Poi pian piano questo fu sostituito dal senso di colpa. Si sentiva come se a causare tutto il male fosse stato lui, anche se non era il diretto responsabile…o forse sì?
A passi lenti ma decisi, Harry fece il suo ingresso nella stanza, chiudendo delicatamente la porta dietro di sé e si avvicinò alle spalle dell’amico.
Neville, accortosi della presenza di qualcuno, si voltò di scatto e lo vide.
“Oh, Harry…l’ultima cosa che volevo era che mi vedessi in questo stato…” si lagnò, asciugandosi gli occhi con la mano. “Sono proprio un piagnone, eh?”
“No” lo rassicurò Harry, sedendosi sul bordo dell’altro letto. “Anche io credo di stare per impazzire, per via di tutto… di tutta questa storia.”.
“Ma tu non piangi” osservò ammirato Neville. “Non lo fai mai, neanche nelle situazioni più disperate. Non so proprio come fai, Harry”.
Harry non seppe come rispondere.
Neville continuò ad asciugarsi gli occhi. Poi alzò lo sguardo su di lui e sulla ferita sulla fronte, sorridendo leggermente.
“Siamo proprio nei guai…la signora Weasley mi ha fatto proprio paura quando ti ha guardato così intensamente la ferita…sembrava quasi che volesse disintegrarla con lo sguardo”.
Harry rise.
“Senti…a proposito di questo…mi scordo sempre che tu sei stato il Prescelto nella tua vita precedente…e quindi volevo farti una domanda…è molto importante” dichiarò il compagno.
Harry sentì rizzare i peli sulle braccia dall’ansia.
“Dimmi pure, Neville”.
“Beh ecco…vedi, non è facile da affrontare. Ho fatto proprio un sogno strano, l’ultima volta che ho dormito. E b-beh, a-ad essere sinceri non ricordo neanche quando è stato. Ma non è importante. È da allora che questa cosa mi è rimasta in testa, e non si scolla più, e ne ho paura. Vedi, Harry, era un sogno molto strano. Ho sognato di trovarmi in una stanza di un pub, somigliava molto alla Testa di Porco. Davanti a me c’era una donna simile alla Cooman…o forse era lei, ma una versione più giovane…Sta di fatto che stavo conversando con lei, poi mi alzo e mi congedo. Ad un certo punto però sento una voce alle mie spalle. Una voce rauca, aspra. Era lei, Harry, e diceva: ‘'Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore…nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato dall’estinguersi del settimo mese…l’Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto…e l’uno dovrà morire per mano dell’altro, perché nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive…il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore nascerà all’estinguersi del settimo mese…’ “
“Ricordi le parole esatte?” si assicurò Harry. All’improvviso un’immagine gli tornò alla mente….qualcuno gli aveva raccontato quell’episodio…o ancora meglio, lui l’aveva visto, quell’episodio…
Neville annuì. “Sì. Era come se l’avessi vissuto in prima persona, capisci? Quello che mi chiedo è questo: questa specie di profezia, sì beh, ci ho pensato tanto, e parla proprio di bambini nati alla fine del mese di luglio…Solo che…sia io che te siamo nati alla fine di luglio, no?”
Harry lo guardò intensamente. Sì, era vero, ma questo lui già lo sapeva. Un dubbio gli sorse nella mente, mischiato con lo sforzo di ricordare, ancora, dove avesse visto le cose che Neville gli aveva riferito.
“Neville…quando sei nato?”
“Il 30 luglio” sussurrò quasi l’altro.
Harry si meravigliò. “Io sono nato…il 31 luglio!”
Anche se sapeva che Neville era uno dei possibili candidati alla profezia, Harry non aveva mai saputo esattamente quando era nato l’amico, nella vita precedente. Per fine di luglio, la profezia avrebbe potuto intendere qualsiasi giorno intorno alla fine del mese. Si era stupito, quindi, che fosse nato esattamente un giorno prima di lui.
Sarebbero potuti essere gemelli. E questo scatenò in lui altri dubbi, altre congetture al significato della sua esistenza, aggiunte a tutto il resto.
“E’ solo un’altra conferma di quanto siamo legati” disse Harry, come se a pronunciare quelle parole fosse stato un estraneo.
“Già Harry…tutto questo è proprio strano. È forse un altro dei motivi per cui siamo collegati…ma cosa significa?”.
Neville lo guardò intensamente, e nel silenzio più completo gli posa un’altra domanda: “Ho bisogno di sapere…come sei morto, Harry?”
Harry lo guardò, ed improvvisamente si sentì nei panni di Silente. Cosa avrebbe dovuto dirgli?
Ricordava di aver scoperto anche lui per sbaglio quella Profezia, proprio prima di perdere Sirius, al Ministero della Magia. Si era sentito perso e terribilmente solo. Ricordò come Silente gli avesse fatto capire il senso di quella profezia…quanto profondo fosse. E il valore del sacrificio da parte sua, Harry.
Ls verità che Neville avrebbe dovuto affrontare era lo stessa per cui Harry ci aveva rimesso la vita, quella precedente. Ma Neville sarebbe stato in grado di accettarlo?
Harry toccò la mano di Neville, cercando di pensare a qualcos’altro che lo calmasse.
Pensò inevitabilmente che di sotto c’era la camera di Ginny, e all’ultima volta che l’aveva baciata nella vita precedente…
“Harry?” disse la voce nervosa di Neville. “Harry, dove diavolo siamo?”
Harry aprì prima un occhio, poi l’altro. Era bastato poco per capire che non era la stanza di Fred e George. Era bastato pensare alla camera di Ginny per essere lì.
Harry si guardò intorno; c’era entrato solo una volta ed era quando l’aveva baciata a diciassette anni appena compiuti nella sua vita precedente. Il cuore gli si colmò di una tristezza infinita. La stanza non era grande, ma molto luminosa. Su una parete c’era il manifesto del complesso delle Sorelle Stravagarie, sull’altro quello della squadra femminile delle Holyhead Arpies. C’era una scrivania davanti alla finestra aperta, che dava sull’orto dove i Weasley giocavano a Quidditch, e dove ora capeggiava un tendone bianco perlaceo. La bandiera d’oro in cima arrivava all’altezza della finestra.
Harry guardò il campo da Quidditch oltre la finestra…ricordava di aver giocato una volta a Quidditch due contro due con Ron e Hermione e Ginny nell’altra vita…
Sentì la pancia indurirsi e il respiro mozzarglisi. Una profonda nostalgia e tristezza lo pervasero. Per la prima volta dopo molto tempo, sentì che non apparteneva a quel posto.
La sua casa era altrove.
“Harry, stai bene? Come sei arrivato qua sotto?” chiese Neville, ansioso.
“Io…lo ricordavo…” fece Harry nostalgico, avvicinandosi al manifesto animato delle Holyhead Arpies.
“…Dalla tua vita precedente?” concluse Neville.
“Sì” rispose secco Harry.
“Sì, ok, ma…ti sei teletrasportato? Non l’ha mai fatto nessuno della nostra età, prima!”
Ti sei teletrasportato. Queste parole risuonarono nella mente di Harry, che abbandonò il ricordo dei capelli profumati di Ginny, e del sapore delle sue labbra, e fece mente locale su quello che gli aveva detto. Ma certo! Lui aveva ricordato qualcosa della sua vita precedente…e una delle sue capacità latenti dovevano essersi manifestate!
Guardò Neville, entusiasta. “Ma certo, Neville! Sono Apparso!”
“Apparso? Vuoi dire…come gli adulti?”
“Sì, Neville! Forse so come possiamo andarcene, senza usare l’automobile!”
“Apparso?” esclamò Louise, seduta sul bordo del letto di Ron, una volta che ebbero raggiunto gli altri. “Vuoi dire…come gli adulti?”
“Sì!” spiegò Harry, concitato, facendo avanti e indietro per la stanza.
Ginny era tornata con il Mantello dell’Invisibiltà e con la tenda con sé. Hermione aveva prontamente messo il telo e tutto ciò che era necessario per montarla dentro quella borsa che aveva imparato ad ingrandire grazie a un incantesimo.
“Non capite? È fatta! Questa era…una capacità che ho appreso nella mia vita precedente, quando avevo sedici anni…sapevano farlo tutti a quell’età…c’era anche un esame, anche se io non l’ho mai fatto…”
“Va bene, va bene, ma avevi sedici anni, Harry! Eri grande e grosso, magari, e invece adesso sei piccolo e fragile…non reggerà mai più di una volta. Ho letto cose terribili sulle Apparizioni…se non sei bravo, puoi anche Spaccarti…”
“Spaccarti?” balzò Ron, tutto ad un tratto partecipe. “Che vuol dire?”
“Che durante la Materializzazione lasci indietro una parte del tuo corpo” spiegò Louise, “potrebbe essere mezzo sopracciglio o magari anche un braccio…“
“E’ deciso…non imparerò mai a Materializzarmi…sai che tortura?!” sentenziò Ron.
Harry gli scoccò un’occhiata consapevole; ricordava come nella sua vita precedente Ron avesse passato metà del viaggio con il braccio rotto, per via della Materializzazione al Ministero.
“Tranquilli, non succederà. Fidatevi di me” rassicurò poi.
“Io mi fido di te” disse Luna, con i suoi grandi occhi sporgenti. “E se proprio nessuno se la sente, sarò io la prima a venire con te per vedere se funziona!”
Harry la guardò pieno di gratitudine, e in parte anche un po’ divertito. In certi momenti, Luna dava l’impressione di non prendere quella faccenda sul serio, come se stessero giocando.
“Grazie Luna. Allora faremo così: ci muoveremo uno alla volta. Sarà un processo lento, lo so, però almeno ci troveremo tutti nello stesso posto, alla fine”.
Fu così che cominciò il processo di Materializzazione. Quando Harry aveva pensato a Ginny, poco prima, doveva essere stato troppo inebriato dal ricordo per rammentare quanto fosse spiacevole: ci si sentiva afferrare per l’ombelico, e la sensazione di compressione dava l’impressione di restringimento, come un rifiuto che attraversa lo scarico del bagno.
Ron, addiriuttura, andò a vomitare in un angolo quando apparì la prima volta.
“Dove siamo?” chiese.
“Sembra…non ne sono sicuro. Credo sia la foresta di Dean” disse, e poi si Smaterializzò.
Apparì e tornò con Louise, così fece con Ginny e Neville.
Fu immensamente spiacevole tenere stretto Richard (che ormai rasentava lo stato catatonico) e poi tornò a prendere John. Ma proprio quando stava per sparire….Sentì dei passi avanzare verso la porta.
“Ragazzi, siete tutti lì? Credo che sia ora di andare…” disse la madre di Ron fuori dalla stanza.
Harry affrettò John e pensò intensamente alla foresta di Dean.
Si staccò e senza badare agli altri andò a prendere Luna e Hermione.
“Ragazzi, posso entrare?” fece la signora Weasley. Harry aveva appena fatto in tempo a comparire che la testa di questa fece capolino da dietro la porta.
“Siete pronti? Ma…dov’è Ron? E Ginny? E Neville?” chiese, a occhi sgranati.
“ Sono fuori in giardino, mamma” inventò Ginny e Harry si stupì di quanto controllo avesse,.
“Ma in giardino non li ho visti!” obiettò la madre.
“E’ stato Ron a portarli. Stanno giocando con gli gnomi. Probabilmente Ron ha fatto qualche pasticcio e gli altri sono andati a rimediare, lo sai quanto è sbadato!”
“Oh, santo cielo!” bofonchiò la signora Weasley, subito irritata. “Va bene. Allora scendete subito di sotto, andiamo a cercarli”.
“Scendiamo subito mamma!” dichiarò Ginny, con un largo sorriso rassicurante stampato in faccia.
“Uao, sei brava a mentire” mormorò Hermione, ammirata.
Ginny scrollò le spalle, con un sorriso soddisfatto. “Beh, sono pur sempre cresciuta con sei fratelli sulle spalle”.
I tre risero, e poi Ginny si smaterializzò con Harry.
Infine Harry prese Hermione.
Quando quella aprì gli occhi fece, meravigliata: “Harry! Ma è la foresta di Dean! Come la conosci?” Poi si girò, lo guardò e scoppiò a ridere.
“Ah, già…la tua vita precedente, vero? ahah”.
“John! John sta male!” urlò Frank, al capezzale dell’amico, steso a terra.
Harry e Hermione corsero da loro. Sul viso di Hermione si dipinse il panico.
“Presto…Louise dovrebbe esserci qualcosa nella mia borsetta…una fiala anti-nervi, qualcosa!”
John cominciò a tossire e dalla bocca uscì qualcosa che macchiò la neve circostante.
Harry ebbe un fremito di paura: sembrava sangue nero.
“Eccola!” disse Louise, accorrendo verso di loro. Stappò la bottiglietta. “Adesso prendi questa, John, da bravo…” disse, e prendendo il viso del compagno gli ficcò il contenuto dentro la bocca.
John guardò nel vuoto per qualche attimo. Poi sbatté le ciglia due volte, e guardò Louise.
“Che…che cosa è successo?” chiese all’amica.
Louise gli regalò uno sguardo di rara compassione. “Non so che cosa è successo. Deve averti fatto male la Materializzazione…” e lanciò un’occhiata accusatoria a Harry “ma adesso è tutto apposto, non devi preoccuparti. Riposati…faremo tutto noi”.
C’era un po’ di panico nella sua voce…Harry lo notò, e non fece alcun commento quando lei gli scoccò uno sguardo malevolo.
Harry la ignorò e prese la borsa di Hermione, abbandonata a terra accanto a John malaticcio.
“Accio tenda!” sussurrò, puntando la bacchetta all’interno della borsa. La tenda affiorò in un groviglio bitorzoluto di tela, corda e picchetti e odorava di gatto. Harry l’aveva riconosciuta: era la stessa che avevano usato nell’altra vita, sia per la Coppa del Mondo di Quidditch che durante la ricerca degli Horcrux.
“E’ di un collega di papà” disse Ron, guardandolo districare i picchetti. “Un certo Perkins. Ha la lombaggine, quindi ci ha lasciato la tenda…”
Harry sorrise, quasi fra sé e sé; si ricordava. “Erecto!” dichiarò, puntando la bacchetta sulla tela sformata, che in un solo movimento fluido si sollevò in aria e si posò, perfettamente montata, davanti a un’Hermione stupefatta. Dalle mani di Harry volò un picchetto che si piantò con un tonfo all’estremità del tirante.
“Credo che dovrò fare gli incantesimi di protezione” aggiunse poi, nel silenzio generale.
Hermione continuava a guardarlo, sorpresa. Harry le sorrise compiaciuto: non era mai successo che la superasse nella conoscenza degli incantesimi.
“Salvo hexia…Protego totalum…Repello Babbanum…Muffliato….Cave Inimicum” concluse, tracciando complicati disegni a otto con la bacchetta per tutta la zona.
Una volta concluso, tornò alla tenda, riunendosi ai suoi amici.
Provò un tuffo al cuore nostalgico, quasi quanto quello che aveva avuto alla Tana.
L’interno era proprio come ricordava: un piccolo appartamento completo di bagno e minuscola cucina.
“Forza” fee Frank a Ron, che portavano di peso John dentro la tenda. Harry spostò una vecchia poltrona e fece cautamente scivolare John sulla piazza inferiore a un letto a castello.
John cominciò a tossire, poi chiuse gli occhi e tacque per un po’.
Louise venne verso Harry, arrabbiatissima. “Te l’avevo detto che non dovevamo usare la Materializzazione! Facevo bene a stare in pensiero…”
“Si riprenderà” la rassicurò Harry. “E John non è così debole”.
Louise gli scoccò un’altra occhiata malevola, poi andò da John.
Fu il turno di Neville a interloquire con Harry. “Mia nonna ha una tenda simile” narrò lui, “ma non puzza di gatto come questa”.
Harry rise.
Passarono il resto della giornata a prendersi cura di John e a sistemare le vivande e i loro effetti nelle stanze. Harry constatò che forse sarebbero stati un po’ stretti , ma che tutto sommato sarebbero sopravvissuti.
Verso sera, il gruppo si riunì attorno al tavolo del soggiorno per fare il punto della situazione.
Harry, più degli altri, avrebbe voluto che John rimanesse a letto, ma lui sembrava essersi ripreso quasi completamente.
“Dunque” iniziò a ricapitolare Hermione, fissando gli oggetti sul tavolo, “ abbiamo due horcrux su sette, ovvero il diadema e il ciondolo, giusto? Il diario è stato distrutto…”
“Ci mancano la Coppa di Tassorosso, l’anello di Serpeverde e il serpente di Voldemort” concluse Harry.
“Si è scelto i cimeli delle Casate, eh? E bravo Tu-Sai-Chi…Strano che non abbia scelto anche la spada di Grifondoro ” disse Ron, beccandosi un’occhiataccia di Hermione e Louise.
Harry rise. “No…quella ha un altro utilizzo…per fortuna!”
Regnò il silenzio per un po’. Hermione sembrò tutto a un tratto illuminarsi.
“Sette” disse a un certo punto, fissando Harry intensamente, “ sette. Avevi detto, da Aberforth, che l’anima di Voldemort era divisa in sette parti… Qual è la settima?”
Harry la guardò ad occhi sgranati. Era vero: aveva fatto un passo falso. I suoi occhi si spostarono automaticamente su Neville, che sudava freddo. Cercò di puntarli nuovamente su Hermione, ed usare un tono credibile quando disse: “Credo che sia l’anima di Voldemort”.
“Sarà l’ultima cosa da sconfiggere, allora” sentenziò Hermione. “E con quale mezzo…?”
“ Con la spada di Grifondoro. Ron non aveva totalmente torto poco fa: La spada serve a qualcosa, distruggere gli Horcrux, ed è l’unica insieme alle zanne di Basilisco in grado di farlo.
O almeno, sono i mezzi che ho usato nell’altra vita”.
“Ma noi non abbiamo né la spada né le zanne di Basilisco!” intervenne Louise, scocciata.
“Come pensiamo di distruggerli? Siamo bloccati”.
Di nuovo, si diffuse il silenzio.
“No invece” ragionò Harry, insicuro “C’è un modo…la bacchetta di Sambuco…”
“Aspetta, intendi dire quella dei tre fratelli? Quella bacchetta?” osservò Frank, incredulo.
“Beh, sì” concesse Harry “E Silente la possiede. È l’unica maniera per sconfiggere Voldemort.
Nella mia vita precedente, Silente era morto, ma ora qui è vivo, quindi possiamo chiedergli di aiutarci!”
“Pazzesco Harry! Stai dicendo che la fiaba dei tre fratelli è vera? Con i Doni della Morte, e tutto il resto?” esclamò Ron, emozionato.
“ I Doni di…cosa?” disse Hermione, voltandosi a guardare Ron.
“Della Morte” disse Ron, concitato. “Dai, non dirmi che non la conosci?! È una delle fiabe più famose di Beda il Bardo! Mamma me la raccontava sempre…insieme a Baba Raba e il Ceppo Gigante…”
“Scusa?” lo interruppe Hermione. “I miei genitori sono Babbani. Non mi hanno mai raccontato simili storie da piccola…Io sono cresciuta con Cenerentola, La Bella Addormentata…”
Ron storse il naso, poi si mise a ridere. “Che cos’è una malattia? Che razza di nomi sono?”
“Quindi è una storia per bambini?” domandò Hermione, ignorandolo.
“Già” rispose di nuovo Ron, dubbioso, “insomma, è quello che dicono, sai, che tutte le storie sono di Beda. Nessuno ne conosce la versione originale”.
Hermione scosse la testa, impaziente.
“Ad ogni modo…questa…fiaba dei Doni non so cosa…Qualcuno sa raccontarmela?”
Harry guardò Luna, che anticipò Louise (che dovette contenere il volto visibilmente infuriato, proprio perché non vedeva l’ora di avere una qualche rivincita su Hermione) e cominciò a raccontare la storia. Mentre narrava, Harry sentì Richard tossire due o tre volte. Fece finta di ignorarlo.
Quando Luna ebbe finito, il viso di Hermione si corrugò.
“Ma è solo una storia” dichiarò lei, “una favola per bambini. Quale prova abbiamo che la bacchetta di Silente possa essere la stessa dei Doni della Morte?”
Harry, con uno scatto d’ira, tirò fuori dalla tasca il boccino d’oro spaccato nel mezzo, la Pietra della Resurrezione e il Mantello dell’Invisibilità.
“Questi sono la Pietra della Resurrezione e questo è il Mantello dell’Invisibilità. Sono due dei Doni della Morte. Il boccino conteneva la pietra della Resurrezione. Ti serve altro? Oppure tutt’ad un tratto ti sei dimenticata di fidarti di me?”
Hermione passò lo sguardo da lui ai tre oggetti posati sul tavolo e viceversa, in silenzio.
Con la coda dell’occhio, Harry vide un sorrisetto soddisfatto spuntare sul viso di Louise.
“Ha ragione Harry” si fece sfuggire questa. “Devono esserlo; Il Mantello dell’Invisibilità, la bacchetta di Sambuco…e il boccino…spaccato a metà, quello te l’ha dato il Sirius dell’altra dimensione…ma solo il contenitore della pietra. Dove hai trovato la pietra, Harry?”
“Nella foresta proibita, mentre fuggivamo dai centauri” rispose Harry. “Non so bene come sia successo. Dovrebbe trovarsi nell’altra vita…si vede che anche questo è opera di Sirius”.
“Non abbiamo tempo per occuparcene ora” disse Frank, fissando la Pietra della Resurrezione spaventato. “Ora dobbiamo pensare a contattare Silente, non credete?”
“Sì,” affermò Harry, “la bacchetta di Sambuco ci serve. In questo modo, possedendo tutti e tre gli oggetti, diventeremmo i Padroni della Morte…dobbiamo assolutamente ottenerla per sconfiggere Voldemort. Mi ricordo come volesse entrarne in possesso per ottenere il potere…ed evitare di essere distutto allo stesso tempo”.
“Molto bene. Secondo voi, dove si trova Silente in questo momento?” chiese John, intervenendo per la prima volta.
“Forse…a Grimmauld Place. Il Quartier Generale si trova lì. Di sicuro coordinerà le spedizioni per cercarci e tutto il resto” disse Ginny.
“Esatto. È il caso di muoverci subito…partiamo domani” decise Harry.*
Quella notte Harry proprio non riusciva a dormire. Si alzò, si strofinò gli occhi e controllò se anche gli altri stavano dormendo. Ron, nella piattaforma del letto a castello sotto di lui, dormiva della grossa, russando come al solito. Anche Frank dormiva profondamente.
I letti vuoti erano di Richard, John e Neville. Forse stavano montando di guardia fuori dalla tenda. Decise di andare a controllare.
Andò nel soggiorno, e lì trovò Neville abbandonato sulla poltrona, a fissare il vuoto.
“Neville” lo chiamò Harry, “dai, torniamo a letto. Domani dobbiamo andarcene di qui”.
Neville sembrò non averlo sentito.
“Harry…ho una domanda da farti. Tu sei morto per mano di Vo-Voldemort, vero?”
Harry rimase sbigottito. Si rese conto che sarebbe stato impossibile tornare a dormire, senza aver risolto prima quella questione.
“Sì, Neviille. Mi sono sacrificato per salvare gli altri” rispose. Si chiese fin dove si sarebbe spinta quella conversazione.
“Dovrò morire anche io come hai fatto tu?” domandò l’altro, senza colore nella voce.
Harry pensò alle parole giuste da usare. Non sapeva neanche se sarebbe stato giusto dirgli che era un horcrux.
“Non per forza” sviò Harry, “se otteniamo la bacchetta di Sambuco, vincerai di sicuro tu”.
“Ma dovrò comunque affrontarlo, alla fine. Sai, ci ho pensato molto. È questo quello che dice la profezia della Cooman: Nessuno può vivere se l’altro sopravvive….Beh, almeno so che non è stata una completa ciarlatana. Ma tu….tu che ruolo hai, un questa storia? Hai la cicatrice come me…significa che questo non ti limita a un semplice ruolo di guida. Sei un Prescelto anche tu, di nuovo?”
Harry stava per azzardare una risposta, quando udì delle voci concitate avvicinarsi sempre più alla tenda; appartenevano a John e Richard.
“È per questo, quindi? Avresti potuto dirmelo prima! Ti avrei capito…”
“Non credo proprio, John…e poi come avrei potuto? C’è sempre Harry, con noi…”
La discussione s’interruppe come i due fratelli entrarono nella tenda. Richard tossì, chinò il capo e si defilò. John spostò lo sguardo su Harry e Neville con gravità, per poi scrutare spaventato soprattutto il primo. Creò una sorta di distanza da loro due, poi si allontanò con il fratello.
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Capitolo 5
IL SANGUE NERO
Harry si guardò intorno e capì di non trovarsi nella tenda. Bastò poco per rendersi conto che era nella camera da letto di casa sua, senza un motivo apparente.
Aprì la porta della stanza, attraversò il piano superiore e scese le scale che portavano nel soggiorno. La casa sembrava vuota. Poi dalla cucina giunsero delle voci che ridevano allegre, e poi sua madre si affacciò dalla cucina. L’aura luminosa e l’aspetto beato gli fecero capire dove si trovava. Portava tazze e bicchieri. Stava apparecchiando per la colazione. James fece il suo ingresso nel locale, aiutando la madre di Harry a sistemare la tavola nel salone.
“Buongiorno, Harry!” disse sua madre Lily. “Forza, dacci una mano! Non vorrai evitare di mangiare, vero? Ti servono energie per la giornata!”
Harry, sereno, obbedì senza protestare. Si sentiva felice di aiutarli.
Una volta che tutto fu pronto, i suoi genitori si sedettero e cominciarono a versare il caffè nelle tazzine. Erano semplicemente splendidi: i capelli di sua madre, che in vita erano di un rosso scuro, risplendevano come illuminati dai raggi del sole. Il padre aveva un viso bellissimo, gli occhi brillanti e vispi, come se avesse raggiunto il massimo della beatitudine. “Coraggio Harry! Cosa fai, lì impalato?” disse Lily, sorpresa di vederlo in piedi a fissarli.
Harry si riscosse, e prese posto davanti a loro. Poi scelse di versarsi il latte nella tazza e i cereali e il succo di zucca nel bicchiere. Mangiarono, e stettero in silenzio per un po’.
Eppure Harry non provò il minimo imbarazzo. Si sentiva riunito, congiunto, dimentico di tutto il resto. Poi suo padre James lo guardò. “Allora, Harry….lo sai che tutto questo non è reale, vero? O che quanto meno, non lo è fisicamente?”
“Certo che sì” rispose prontamente Harry, anche se per un attimo ci aveva sperato.
“Molto bene. Siamo venuti qui per comunicarti un messaggio ma…volevamo vederti e quindi…abbiamo reso il luogo di tuo gradimento” comunicò James con un ghigno.
“Di che si tratta?” fece Harry, masticando lentamente i suoi cereali. Anche se tutto questo non era vero, sentiva nettamente il sapore della sua colazione.
“Beh, ecco vedi… dello scrigno” rispose lui, serio.
Harry sputò quasi il cibo che aveva in bocca. Si era quasi dimenticato di quella faccenda, da quando aveva avuto i contatti di questo aldilà in Norvegia.
“Sappiamo dov’è” disse Lily, con un sorriso, “ e non è in pericolo!”
“Davvero?” esclamò Harry. “E dov’è?”
“Da un nostro amico, morto anche lui nella tua vita precedente” rispose Lily. “Sappi solo questo: lo scrigno è la chiave. Al suo interno c’è tutto quello che ti serve”.
“Lo scrigno è la chiave? “ balzò Harry, senza capire. “Che vuol dire? Cosa c’è all’interno?”
Ma in risposta gli giunsero solo i sorrisi sereni dei suoi genitori, finché le loro forme non si dissolsero, e con esse tutto il resto.Harry si svegliò di soprassalto. Passarono alcuni istanti prima che potesse ricordare l’accaduto; poi voltò la testa sul cuscino e vide che un posto era vuoto. Eppure Harry ricordava che c’erano molte più persone in quella tenda. Balzò dal letto e si diresse in cucina. Trovò Hermione affaccendata con la colazione, non gli diede il buongiorno, ma distolse lo sguardo in fretta. Harry la osservò: era leggermente più alta del solito.
Senza stare a soffermarcisi troppo, andò a vedere dove fossero gli altri: la tenda era insolitamente vuota. Non erano neanche fuori a far di guardia. La tenda non era molto grande, sebbene lo fosse per i canoni di una tenda tradizionale. Non c’era spazio per nascondersi.
Si lavò e si vestì in fretta, e poi si unì a Hermione a colazione. Ripensò al sogno che aveva fatto quella mattina e solo a un certo punto si soffermò sul viso di Hermione, che mangiava in silenzio. Aveva gli occhi gonfi e rossi e la faccia di chi non ha dormito. Harry si chiese cosa avesse avuto da piangere; forse gli mancava casa?
La cosa che lo sconvolse di più, però, fu un’altra: i lineamenti del viso erano più maturi e marcati e il suo aspetto aveva un’aria meno da bambina, più consapevole di se stessa.
Non poteva avere meno di diciassette anni.
La cosa lo stranì parecchio. Preoccupato per il nuovo aspetto di Hermione, Harry si chiese se per caso il volto insonne dell’amica fosse legato alla scomparsa delle altro otto persone che abitavano quella tenda.
“Hermione…cosa succede?” chiese lentamente, cercando di non ferire i suoi sentimenti.
Hermione gli scoccò un’occhiata sull’orlo delle lacrime. Poi boccheggiò, con lo sguardo lucido e spalancato dalla sorpresa.
“Non….Non ti ricordi?” mormorò, quasi singhiozzando. “Se ne è andato!”
Harry non riusciva a collegare in quel momento. “Se ne è andato….chi? Senti, non so a chi ti riferisci, ma mi pare che se ne siano andati via tutti! Luna…Frank…John…”
Gli occhi dell’amica si spalancarono sempre più ad ogni nome pronunciato da Harry.
“Luna…? Chi è Frank….e John?”
“Eccoci di ritorno!” disse Frank, insieme a Ron. Fra le braccia avevano un po’ di legna da ardere. Harry si voltò di nuovo verso Hermione: adesso aveva di nuovo l’aspetto di una ragazza di tredici o quattordici anni, e donava a Frank un’espressione felice.
Harry dovette ragionare su quanto appena accaduto. Gli faceva improvvisamente male la testa. Si chiese con quale forza riuscissero loro, dei bambini, a cavarsela così egregiamente, e quella domanda gli sorse naturalmente spontanea.
Più tardi, mentre c’era chi si preparava alla partenza, chi metteva la legna sul fuoco e chi faceva il pranzo, Harry, Neville e Hermione studiavano il piano per andare a Grimmauld Place.
“Credo che dovremmo andare a fare la spesa” constatò Hermione, “e questo ci metterà in condizione di essere scoperti. Non possiamo rischiare di farci trovare in un luogo pubblico da quelli dell’Ordine o dai Mangiamorte; sono una minaccia entrambi”.
“Sarebbe un’idea se qualcuno rimanesse al campo, qualcun altro andasse a fare la spesa e altri a Londra. Questo ci risparmierebbe tempo, e avremmo la certezza che molti di noi sono al sicuro….l’Ordine ci impedirebbe la missione per proteggerci, i Mangiamorte ci userebbero per ricatto” osservò Neville.
“Già, forse sarebbe meglio che andassimo solo in due a Londra” suggerì Harry.” Magari andiamo solo io e te, Neville…”
“Impossibile!” esclamò Hermione, risentita. “ E chi ci aiuterebbe a Materializzarci…Non è sicuro rimanere in un posto troppo a lungo, e poi quello che cercano è proprio….”
Richard, che stava contando le porzioni del pasto, cominciò a tossire nervosamente. Continuò, e continuò. Si piegò in due, senza riuscire a fermarsi. Harry si alzò dal tavolo e mosse qualche passo verso di lui, mentre altri accorrevano alla tenda.
Harry ebbe un brivido lungo la schiena quando vide che Richard sputava sangue scuro, quasi nero: lo stesso di John. Solo Louise sembrava esprimere la preoccupazione di Harry e degli altri. “Richard! Oh santo cielo!” esclamò, spaventata. “Portiamolo a letto” disse, guardando Frank. Questo si alzò e, presolo di peso, lo portò su una delle brandine.
Richard continuò a tossire per tutto il pomeriggio; questo preoccupò molto tutti, soprattutto John e Harry. In qualche modo, lui, Harry, si riteneva colpevole, perché aveva avuto l’iniziativa di quel viaggio assurdo e non aveva considerato minimamente le conseguenze che avrebbe comportato.
Il viaggio a Grimmauld Place, ovviamente, saltò. Harry, un po’ perché si sentiva responsabile, un po’ perché voleva sfuggire al tormentato sguardo di Louise che lo accusava come colpevole per via della Materializzazione, acconsentì di accompagnare Ginny a comprare qualche provvista in un paesino dove una volta, durante la ricerca degli horcrux nella vita precedente, non era riuscito a proteggersi dai dissennatori. Con suo grande sollievo non ce n’erano, stavolta, e riuscirono a prendere il necessario sotto il Mantello dell’Invisibilità. Tornati la situazione non era migliorata: Richard aveva la febbre alta.
Ormai era pomeriggio inoltrato. Harry rinunciò totalmente all’idea di muoversi.
Il giorno dopo, Richard non si riprendeva: anzi, dalla sua bocca usciva sempre più sangue.
Harry era entrato in farmacia con Ginny e aveva preso delle medicine babbane, proprio perché quelle delle infermerie delle scuole magiche non funzionavano.
Quando Harry espresse il desiderio di portarlo al San Mungo, sia John che Louise gli rivolsero facce sconcertate. “Sei impazzito, per caso?” protestò John, freddo, per poi spostarsi al capezzale di Richard, suo postazione dalla giornata precedente. Quasi non gli parlava: Harry avrebbe tanto voluto sapere che cosa avevano lui e il fratello da nascondere. Ne aveva abbastanza, di misteri.
“E’ tutta colpa tua!” protestava e brontolava Louise, “se non ci fossimo Materializzati, né John né Richard si sarebbero sentiti male!”
“Sentiamo, quale sarebbe stata l’idea migliore?” ribatteva sempre Harry a queste accuse.
La verità è che si chiedeva anche lui perché fosse capitato solo a John e Richard. Aveva sentito e visto dai suoi genitori che Materializzarsi non era semplice; eppure nessuno gli aveva detto che uno degli effetti collaterali fosse sputare sangue.
Così passarono anche le due giornate seguenti. Richard sembrava essersi ripreso, tant’è che bisbigliava sempre o con John o con Louise. Ma era solo un’impressione, perché peggiorò visibilmente il terzo giorno con un attacco di raffreddore, e non era in grado di muoversi.
Erano tutti troppo indaffarati a cercare medicine e a non pensare a perdere un loro compagno che la ricerca degli horcrux e la Bacchetta di Sambuco quei giorni sembrava essere stata messa in secondo piano.
Si trovò una di quelle sere a fare di guardia alla tenda, lo sguardo fisso nell’orizzonte. Nessuno avrebbe avuto bisogno di lui; c’erano nove persone a prendersi cura di Richard, e lui sarebbe stato solo un peso. Fu così che ripensò al sogno e allo scrigno. Lo scrigno è la chiave, al suo interno c’è tutto quello che ti serve. Sì, ma cosa c’era dentro? E soprattutto, aveva a che fare con la profezia di Neville e Voldemort? E lui, che ruolo aveva in quella profezia? Era sì, legato a Neville ed era stato legato a Voldemort, ma il fatto che ci fosse un collegamento col Prescelto lo rendeva indissolubilmente legato anche a Voldemort?
Erano domande che avrebbe voluto fare ai suoi genitori dell’aldilà, ma non gli era venuto in mente. Se lo scrigno era la soluzione a questi dilemmi, chi era che lo conservava? E’ da un nostro amico, morto anche lui nella tua vita precedente. Sì, ma chi?
In quel flusso di pensieri, non poté fare a meno di chiedersi se la malattia di Richard avesse a che fare con tutta questa storia. Forse Louise sapeva qualcosa: piuttosto che chiederlo a John, fisicamente provato e distante quanto Richard fino a pochi giorni prima, Harry preferiva consultarsi con lei…anche perché aveva sempre avuto l’aria di sapere qualcosa al riguardo.
“Ehi, ciao Harry” salutò Luna, affacciandosi dalla tenda. “Sei solo? Che fai? Ti vedo malinconico…stai pensando di scrivere una poesia da dedicare a Richard?”
Harry rise; non era esattamente quello che stava facendo, ma lo divertiva sempre lo spirito un po’ pazzerello dell’amica, e di come gli venissero in mente certe idee.
“No, non sono dell’umore giusto” rispose.
Luna scrollò le spalle. “Peccato. Sai, è il miglior modo per farsi passare i pensieri…Io scrivo sempre poesia quando sono giù”.
Harry annuì. “Ehm…bello”. Conoscendo Luna, le sue poesie dovevano essere assurde quanto il Cavillo.
“Neville ti vorrebbe tanto parlare” se ne uscì lei. “Non fa altro che guardarti fisso tutto il tempo; però sembra che tu non te ne accorga, o faccia finta di non accorgertene. Poi una volta l’ho sentito bisbigliare con Ginny, che gli ha detto che secondo lei sarebbe stato meglio se vi foste parlati voi due” .
Harry non potè fare a meno di provare un groppo allo stomaco; era vero, ma ci mancava anche Neville!
“Sai, mi mancano i tempi in cui pedinavamo Piton. Peccato che poi ci hanno scoperti, era diverrtente” disse lei, con tono malinconico. Harry vide che dalla tasca gli sporgevano dei fazzoletti con delle macchie scure.
“Luna, ehm…che cos’hai in tasca?” chiese.
Lei sembrò cascare dalle nuvole. “Questi?” fece, tirandoli fuori dalla tasca. “Sono strani, vero? Hermione mi ha detto che era meglio se li tenevo…hanno un aspetto interessante. Credo voglia indagarci sopra!”
“Posso vederli?”
Luna glieli porse. Harry prese a esaminarli, poi li rimise in ordine cronologico. Le macchie di sangue andavano scurendosi con il passare dei giorni. Harry riconobbe quella più recente, più fresca rispetto alle altre.
“Che vuol dire?” mormorò Harry, quasi fra sé e sé. “Luna, posso chiederti un favore? Me li daresti tutti, e mi aggiorneresti sul sangue, se migliora o peggiora?”
Luna lo guardò con fare sognante, ma nei suoi occhi Harry lesse un lampo di serietà.
“Va bene”.
Harry avrebbe tanto voluto sapere come mai anche Louise cominciava a non parlargli più.
Avrebbe potuto capire John; Louise, anche se ce l’aveva a morte con lui per via della Materializzazione, aveva continuato a comunicare con lui, anche se si trattava di cose puramente pratiche. Avrebbe voluto un confronto riguardo Richard, ci teneva a farlo.
Anche perché Luna, nei giorni che seguirono, gli aveva fornito i fazzoletti usati di Richard, e Harry constatò che il sangue era ormai nero come petrolio; ne aveva anche la consistenza.
“Ma secondo te perché solo Richard e John sono stati male?” domandò Harry, una sera, quando tutti erano andati a letto ed erano rimasti solo lui e Luna a montare di guardia alla tenda.
“Lo so che lo sai” incalzò, “perché prima di partire per la Norvegia, tu e Richard siete rimasti soli. Forse sei l’unica che ha sempre saputo cosa gli sia preso”.
“C’entrano i Thestral” rispose lei semplicemente. “li riesce a vedere perché ha visto cose orribili, che non avrebbe dovuto vedere…e quindi si è sentito male”.
“Ha visto morire qualcuno?” chiese Harry, curioso.
Luna scrollò semplicemente le spalle, lo sguardo perso nel vuoto. “Non me l’ha detto”.
“Non te l’ha detto?” fece Harry, che invece ricordava che Richard e Luna avevano parlato parecchio. “Quindi dici che i Thestral sono legati allo sputare sangue?”
“Non agitarti, Harry” cercò di calmarlo Luna.
“Certo che mi agito!” s’infervorò Harry. “E poi, scusami tanto…solo Richard, dei due fratelli, vedeva i Thestral. Gli altri che potevano farlo eravate solo tu e Louise”. Louise…probabilmente se lei vedeva i Thestral, allora forse avrebbe saputo risolvere il dilemma meglio di Luna. Ma certo! Ora ricordava la faccia che aveva fatto quando Harry le aveva chiesto la causa di quella capacità …e lei aveva aggrottato la fronte, e gli aveva detto: Non ti piacerebbe saperlo. Molto bene: se Luna non era disposta ad aiutarlo oltre, allora avrebbe forzato Louise.
Ci pensò la mattina dopo. Mentre si lavava i denti al ruscello ghiacciato, Harry si chiese che cosa avrebbe dovuto dirle e come gliel’avrebbe detto. In quel momento, gli venne in mente Aberforth; perché non ci aveva pensato prima? Forse, anche se non avrebbe saputo rispondere alla questione dei thestral, avrebbe saputo direzionarlo sulla cura del sangue nero.
Così tirò fuori lo specchio che aveva in tasca, pronto a chiamarlo…quando successe una cosa incredibile: nello specchio non vi era riflesso Harry. O meglio, era lui, ma più grande. Aveva una cicatrice a forma di saetta che gli splendeva sulla fronte; la sua ferita reale aveva ancora la crosta. Il viso era più adulto…era lui a diciassette anni! E, cosa più assurda, sentiva che quella era l’età che avrebbe dovuto dimostrare…e non tredici anni, l’aspetto di adesso. Mollò la presa dello specchio, che cadde fra la neve. Con pazienza lo prese, lo pulì dall’acqua e se lo rimise in tasca. Poi corse al campo.
Quando tornò vide che erano tutti quanti intenti o ad accendere il fuoco, o a imparare incantesimi da un grosso libro di Hermione e nessuno badò a lui quando entrò all’interno della tenda.
Louise era in cucina, intenta a tagliare delle patate. Era sola. Quello era il momento più adatto.
“Ehm…Louise” dichiarò Harry timidamente. Louise sembrò accorgersi solo in quel momento
della sua presenza. “Che cosa c’è?” chiese poi lei, gentilmente.
“Beh, io ecco….ho parlato con Luna. So che Richard ha qualcosa che non va…e che non è dovuta a una semplice malattia”.
La patata sfuggì per un momento dalle mani di Louise. Harry, con i riflessi pronti da Cercatore, la prese prima che sfiorasse il terreno.
“Che vuoi sapere?” chiese Louise, scura in volto.
“Se il motivo per cui Richard vede i thestral è perché ha visto qualcuno morire e, se è per questo, perché non mi rivolge più la parola. Se questa morte ha a che fare con qualcuno di vicino a me…o se crede che sia colpa mia. E se per caso anche tu hai visto la stessa cosa. Ma allora mi chiedo…perché tu non dovresti stare male? Perché Richard? E perché lo è stato anche John…anche se non ha visto i Thestral? E se i Thestral non c’entrano nulla, perché non ci siamo ammalati tutti? Tu lo sai, Louise. O quanto meno, sai chi ha perso Richard. Tu, Louise, chi hai visto morire?”
Louise rimase in silenzio. “Non credo di potertelo dire, Harry. E soprattutto, non credo che dovrei immischiarmi negli affari di Richard. Non posso certo fare una confessione al posto suo”.
“Ma io voglio aiutarlo!” insisté Harry.
“Lo so. Ma non posso dirti niente, Harry, davvero. Ora prendi una patata da quel cestello: aiutami a pelarle per la cena”.
Quella sera, Richard sembrò riprendersi. Harry sperò che migliorasse anche nei giorni seguenti. Tuttavia era troppo presto per pianificare la partenza per Grimmauld Place.
Quella notte, Harry sentì qualcuno alzarsi e uscire dalla tenda. Girò la testa sul cuscino, e vide che il letto di Richard era vuoto.
Si alzò e andò a cercarlo fuori dalla tenda, coprendosi con un mantello.
“Richard?” gridò, appena fu uscito. Stava nevicando: il paesaggio era striato da sottili strisce bianche che appannavano gli occhiali di Harry, rendendo ancora più difficile la ricerca.
Tirò fuori la bacchetta dalla tasca e mormorò “Lumos!” nell’oscurità del bosco.
Poi si mise a spaziare lo sguardo da una parte e dall’altra, seguito dal fascio di luce magico.
Harry fu ben attento a guardare anche il terreno coperto di neve, per scoprire se Richard aveva lasciato macchie di sangue nero.
Ne trovò solo una, quando stava per tornare indietro al campo a chiamare gli altri, ma gli fu sufficiente per proseguire in quella direzione.
Proseguendo, Harry capì dove stava andando: era il lago dove nell’altra vita aveva visto la spada di Grifondoro, segnalato dal patronus di Piton. E Ron in quell’occasione l’aveva salvato.
Richard stava sulla riva del lago ghiacciato, ondeggiando avanti e indietro follemente.
Harry ebbe un fremito di paura: cosa stava succedendo?
Cercando di farsi coraggio, mosse lentamente i passi verso di lui.
“Richard” disse Harry, lentamente. “Che cos’hai, stai male? Vieni, andiamo alla tenda!”
Richard, che in un primo momento non l’aveva visto, mosse il suo sguardo su di lui e balzò sul posto.
“Tu!” dichiarò a voce alta. “Mi hai rovinato la vita!”
“Va bene” assentì Harry, assecondandolo. “Ma magari ne parliamo al campo, che dici? Non è il momento di….”
Richard non lo stava ascoltando: aveva ripreso a camminare avanti e indietro e continuava a mormorare: “spada….Grifondoro…lago…patronus…cerva….Ron…”
Harry rimase di sasso. Non aveva mai parlato specificatamente di quell’episodio della sua vita precedente ai suoi amici. Come poteva sapere che il patronus di Piton era una cerva?
“Richard…come sai…?”
Ma il compagno non sembrava averlo sentito, e ripeteva: “Spada…Grifondoro…lago…Patronus…Cerva…Ron…” per poi aggiungere la parola: “Horcrux”.
Dopodiché svenne. Harry, sconcertato, lo raggiunse e cercò di rianimarlo.
Ma niente funzionava. Richard era più robusto di lui, non ce l’avrebbe mai fatta a portarlo di peso fino al campo. Quindi lo trascinò per i piedi.
Ritornarono. C’erano delle luci accese all’interno della tenda. John, Frank, Louise e Ron erano appena fuori la tenda, coperti di vestiti pesanti.
“Richard!” accorse John, verso di loro. “Harry! Come l’hai trovato?”
“Era al lago” rispose lui. “Era come impazzito…mormorava parole strane…”
John lo guardò negli occhi. “Portiamolo dentro”.
Inutile dire che il trambusto aveva svegliato tutti, perciò furono molto attenti a metterlo nel letto. Richard rimase addormentato per tutto il tempo. Poi lo lasciarono e andarono in soggiorno, per capire cosa fosse successo.
Solo Harry rimase a guardare il volto pallido dell’amico, sereno nel sonno.
Stava per raggiungere gli altri quando Richard sussurrò qualcosa nel sonno.“Har….ry…”
Questo si avvicinò lentamente mentre il compagno sussurrava: “Dove si trova il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore”. Poi si riaddormentò.
Harry rimase perplesso per qualche attimo. Era la frase che era scritta sulla tomba della madre e la sorella di Silente.
Sconvolto, tornò dagli altri e raccontò brevemente quello che era successo.
Tutti rimasero sorpresi, ma non sembrarono dare spiegazioni sufficienti e non trovarono nulla da dire. Così tornarono tutti a letto.
Harry non riuscì a riprendere sonno.Nei giorni che seguirono, Richard sembrò riprendersi notevolmente; non dava alcun segno di malattia, e la tosse svanì così come il sangue nero. Allora Harry colse l’occasione: era il momento di andare a Grimmauld Place.
Ancora nessuna risposta. Inizi tu?
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