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  • L’Arrocco ***

    Posted by Anonymous on Agosto 9, 2012 at 8:57 pm
    Antonio è un paziente dell’ospedale che ama giocare a scacchi; data la sua condizione di malato terminale la sua famiglia lo ha abbandonato e si è chiuso in se stesso. Maurizio è un infermiere che, colto da pietà, inizia col fare compagnia ad Antonio fino a diventare l’unico amico da cui eredita la passione per gli scacchi. In un ventoso pomeriggio d’Aprile, la malattia avrà finalmente la meglio su Antonio lasciando l’infermiere col suo ricordo e pochi oggetti per non dimenticare mai quell’uomo solo.
    Per chi non conosce il gioco degli scacchi, l’arrocco è una mossa difensiva che porta il Re dietro ai pedoni (muovendolo lateralmente) difeso da una Torre (che “scavalca” il Re e lo “chiude”).
    Questa storia si è classificata terza al contest ‘Il Contest della Pizza! [Quale fa per te?]’ indetto da Soul’sLullaby sul forum di EFP
    Questa storia si è classificata quinta al contest ‘Scacco Matto!’ indetto da Fe85. sul forum di EFP

    Il tempo scorreva sempre troppo veloce quando guardava quella scacchiera. Era una guerra, era inutile negarlo, una guerra dove non erano coinvolte persone per fortuna, ma solo delle figure ammantate di mistero. E la scacchiera era il loro regno; in quei sessantaquattro spazi i pezzi si muovevano, ognuno a modo suo, in una danza che aveva fine solo quando il re sarebbe caduto.
    Dopo un tempo che a lui sembrò interminabile mosse il suo pezzo preferito: il cavallo. Poi attese la mossa dell’avversario.
    ‒ Ancora non ti sei stancato di venire tutti i giorni qui? ‒ disse l’uomo seduto sullo scarno letto, anch’egli con lo sguardo rivolto al gioco, studiando con attenzione la sua prossima mossa.
    ‒ Non potrei rinunciare alla nostra partita. Forse una volta riuscirò a batterti. ‒ rispose l’altro alzando per la prima volta gli occhi dal loro passatempo preferito.
    ‒ Non hai obblighi verso di me, lo sai. ‒ continuò quello ‒ Mi chiedo cosa ti spinga a venire sempre a trovarmi. Nemmeno i miei parenti fanno tanto, per loro è più facile pensare che io sia già morto.
    Il gioco continuò per un altro po’, con diversi scacchi al re da ambo le parti, finché l’uomo non concluse la partita con un formidabile scacco matto.
    ‒ Un giorno, forse… ‒ commentò il vincitore riferendosi alla possibilità che l’altro vincesse.
    ‒ Forse… ‒ ripeté l’altro ‒ ora però è meglio che vada, ti sei già affaticato a sufficienza. Distenditi ora e riposa un po’.

    Maurizio uscì solitario dall’ospedale nel pomeriggio afoso. L’orario di visite era passato da un pezzo, ma con lui era diverso: era un infermiere. Ogni giorno finito il proprio turno passava a trovare quell’uomo che aveva oramai preso domicilio in una anonima stanza dell’ospedale. Era ricoverato da tempo immemore come malato terminale, ma la sua malattia sembrava prendere in giro anche la sua vita, oltre a tutti i medici che ogni giorno lo visitavano con la speranza di un miglioramento.
    Gli aveva fatto pena quell’uomo solo, chiuso nel suo guscio, come un re che ricorre all’arrocco per nascondersi dietro alla torre. Da lui aveva ereditato la passione per gli scacchi e con quel rapporto di infermiere/paziente era nata la loro amicizia.
    I suoi piedi conoscevano a memoria la strada che dovevano fare; ogni giorno percorrevano il solito spiazzale antecedente l’ospedale per poi imboccare la prima via a destra senza soffermarsi a osservare le vetrine dei negozi. Si fermavano solo in fondo alla strada, dove una traversa interrompeva perpendicolarmente il suo percorso. In quel punto si trovava una pizzeria dove spesso si fermava quando aveva voglia della gustosa pietanza che lì vendevano. E quel giorno era uno di quelli.
    ‒ Una capricciosa. ‒ annunciò al commesso che prontamente lo servì e si recò alla cassa per ricevere i soldi che il cliente gli porgeva.
    Poi Maurizio continuò la sua camminata diretto al suo appartamento. Vi giunse dopo poco.
    Situato al quarto piano, la prima porta alla sinistra delle scale, lì si trovava il luogo dove amava passare il suo tempo libero e il posto che lo accoglieva durante la notte. Un ascensore rendeva più agevole la salita, soprattutto per chi abitava ai piani più alti, ma lui, da bravo infermiere, preferiva le scale per tenersi sempre ben allenato. Sentiva spesso giovani ragazzi o casalinghe uscite a far spese, affaticarsi salendo anche solo pochi gradini e lui non voleva ridursi così, non voleva rischiare la salute per avere la vita più comoda.
    Salì gli ultimi scalini frugandosi in tasca in cerca delle chiavi. La serratura schioccò rimbombando nella tromba delle scale e la porta si spalancò su un ingresso modestamente arredato, da cui si intravedeva un angolo della sala da pranzo e la porta che dava sul salotto.
    Abbandonò la giacca sull’attaccapanni e si diresse verso il tavolo spettinandosi i capelli cercando di rilassarsi. Lì, disordinatamente abbandonati a loro stessi, giacevano alcuni pacchi che il postino gli aveva recapitato quella mattina. Maurizio si era limitato a portare la posta in casa prima di recarsi al lavoro. Ora era giunto il momento di sapere cosa aveva ricevuto.
    Trovò due bollette e una lettera non affrancata indirizzata a tutti gli inquilini del condominio, sei volantini pubblicitari di cui un paio a forma di lettera per risultare più professionali; infine si dedicò al pacco più grosso: era incartato con un involucro giallo, simile alla carta-paglia, e su quella che intuì essere la parte superiore si trovava un foglio adesivo dove era scritto il suo indirizzo. Strappò la carta senza curarsi di non rovinarla e scoprì un quadretto e una lettera in una busta non sigillata. Aprì la busta curioso di sapere chi gli mandava quel regalo.

              Tanti Auguri fratellino… credevi me ne fossi dimenticata, vero? Invece credo proprio che quello che non si è ricordato del proprio compleanno sia proprio tu. Questo è il mio regalo; ricordi quel quadro che ho fatto al mio primo anno di Accademia e che ti piaceva tanto? Ho deciso di darlo a te, così finalmente potrai togliere dal salotto quella ridicola immagine della gondola veneziana (che poi non ho ancora capito dove l’hai trovata). Sei contento?
    Di nuovo Tanti Auguri.

    La tua sorellona

    Solo allora si concesse di guardare finalmente il dipinto che giaceva ancora mezzo incartato.
    Un sorriso spuntò sulle sue labbra alla vista del quadro dipinto dalla sorella che preferiva in assoluto e ripensando alle dolci parole di lei. Gli sembrava quasi di sentirla accanto a sé, sentiva la mano di lei poggiarsi sulla sua spalla in un gesto fraterno, come a fargli capire che lo considerava un uomo ma che lei ci sarebbe sempre stata a proteggerlo dai mali della vita.
    Prese il suo regalo e andò in salotto per fare quello che lei gli aveva chiesto. A malincuore tolse l’immagine di Venezia dalla parete per far posto a quella che aveva in mano. E doveva proprio dar ragione alla sorella, in quel punto – sopra un finto camino – stava davvero d’incanto. Si ritrovò a tornare sui suoi passi con l’altro quadro pensando a cosa farne.
    A dispetto di quello che diceva sua sorella a lui piaceva quell’immagine. Infine decise: lo avrebbe dato a quell’unico amico che lo faceva sentire orgoglioso di aver scelto la giusta professione e che gli aveva fatto scoprire un nuovo amore.

    Uno scorcio di Venezia faceva capolino sul muro della camera da letto. Maurizio lo aveva portato solo qualche giorno prima e Antonio aveva sinceramente apprezzato quel gesto così da averlo sempre davanti a sé in quel posto così monotono. L’infermiere lo aveva appeso accantonando momentaneamente un’immagine sacra, posta ora nella sala degli infermieri.
    Come ogni giorno giunse il suo compagno di giochi che tirò fuori la scacchiera dall’armadietto del malato. L’appoggiò sul tavolino che spesso fungeva da tavolo da pranzo – quando chi era ricoverato aveva la possibilità di alzarsi dal letto – e lentamente iniziò a tirare fuori i pezzi. Nell’aria il solito profumo di sapone con cui si lavava sempre le mani prima di mettersi a giocare. Aveva quasi una venerazione per quelle statuine e non voleva rovinarle toccandole con mani sporche.
    Si alzò dal letto per sedersi di fronte l’altro che lo stava già aspettando davanti a quel Regno dove le guerre non fanno che succedersi alle guerre. Poche mosse da ambo le parti e i soldati avevano già preso buone posizioni per dare Scacco al Re avversario, cercando contemporaneamente di difendere il proprio.
    Il tempo volava mentre i due giocavano e si divertivano. La prima partita fu vinta dall’infermiere che temendo fosse stato agevolato aveva chiesto di fare il bis, pregando l’amico di giocare seriamente. Le sue convinzioni furono confermate quando la seconda partita fu vinta da Antonio.
    ‒ Non c’è due senza tre ‒ disse lui ‒ dobbiamo fare quella che a carte si chiama “la bella”, per ora siamo pari.
    E quel giorno giocarono insieme a lungo, per sapere chi dei due l’avrebbe spuntata sull’altro.

    ‒ Scacco matto! ‒ sentenziò alla fine Maurizio. Era la prima volta che riusciva a vincere contro l’amico.
    ‒ Ben fatto! ‒ rispose l’altro. E per la prima volta dopo tanto tempo Antonio rise, una fresca risata come non ne faceva da tempo. Quel piccolo uomo era riuscito con la sua sola presenza a far breccia nella solitudine di chi sa che a breve morirà.
    Anche l’infermiere rise, contagiato dalla felicità dell’amico. Non l’aveva mai sentito ridere ed era contento anche per questo. Poi si riscosse e smise di ridere.
    ‒ Non affaticarti troppo ‒ disse ‒ non te lo puoi permettere nel tuo stato.
    Queste semplici parole bastarono per calmare l’altro.
    ‒ Grazie, grazie davvero di cuore… per tutto. ‒ aggiunse quasi commosso ‒ Mi hai fatto tornare giovane per un attimo. Grazie Maurizio.
    E dopo essersi rimesso a letto i due si salutarono e il giovane uscì dall’ospedale.
    C’era vento quel pomeriggio, un vento come non s’era mai visto. L’infermiere si diresse come ogni giorno al proprio appartamento. Fortuna volle che aveva la giacca con cui poteva ripararsi, anche se trovava comunque difficile camminare. E in quel momento si chiedeva come facessero coloro che avevano i capelli lunghi, che con quel vento sarebbero volati in tutte le direzioni creando una sorta di nebbia densa.
    Arrivò al proprio appartamento senza rendersene conto. Come al solito appoggiò la giacca all’attaccapanni e in quel frangente gli caddero gli occhi sul calendario: c’era ancora il foglio del mese precedente, passato già da qualche giorno. Ebbe così premura di strappare la vecchia pagina per scoprire la maestosa figura di un monte innevato che sovrastava il mese di Aprile. Poi buttò il foglio nel cestino della carta che teneva sotto il lavello insieme agli altri contenitori per la raccolta differenziata.
    Aveva degli avanzi in frigorifero e decise di tirarli fuori per cenare con quelli; non sarebbe stato granché, ma non avrebbe sprecato nulla. E poi non gli andava di mettersi ai fornelli, si sentiva spossato anche se non aveva fatto niente che giustificasse la sua stanchezza.
    Dopo il breve pasto decise di farsi una doccia rilassante, sperando nel suo potere curativo. L’acqua calda che usciva dal telefono portò via con sé lo stress di una giornata lavorativa, ma lo lasciò più stanco di prima. Così decise di tagliare la testa al toro e andare definitivamente a letto. Come ninna nanna il fischio del vento che ancora soffiava e che si faceva strada tra le persiane producendo quel suono così sonnolento.
    Il vento continuò anche il giorno seguente. Maurizio si recò all’ospedale con la sensazione che sarebbe successo qualcosa. Salutò i colleghi, svolse i propri compiti poi subito prima di andarsene tornò dal suo amico per la loro consueta partita.
    Entrò nella stanza, ma la trovò vuota, così uscì per cercarlo altrove.
    ‒ Anna, sai dov’è finito il malato della 103? ‒ chiese alla collega di quel reparto.
    ‒ Sì, Maurizio. Il paziente è deceduto stamattina. Ora si trova nella camera mortuaria con i suoi parenti.
    Così il momento che temeva era infine giunto. Voltò le spalle alla donna e si precipitò al piano più basso dell’ospedale. La camera mortuaria si trovava in una parte un po’ isolata dove nessuno poteva capitare per sbaglio.
    Alcune persone passeggiavano nel corridoio, proprio fuori dalla stanza, tutte con facce lugubri e parlando a bassa voce. Maurizio fece capolino per guardare dentro.
    Era suo amico, l’unico che avesse mai avuto in ospedale, l’unico che era entrato nella sua vita in così poco tempo stravolgendola completamente. Non voleva disturbare i parenti, lui in fondo non era nessuno, ma aveva bisogno di vederlo.
    Nessuno piangeva o almeno nessuno lo faceva vistosamente. C’erano due donne accanto a lui e altre tre persone poco distanti. Mosse qualche passo all’interno per scorgere meglio la figura distesa. Poi per vergogna si immobilizzò e tornò sui suoi passi. Tuttavia non riuscì ad andarsene e restò anche lui nel corridoio, ma dall’altro lato rispetto a dove si trovavano gli altri.
    Dalla camera mortuaria entrava e usciva gente, Maurizio li fissava per qualche istante chiedendosi cosa provassero e quale fosse il motivo per cui avevano abbandonato Antonio nei suoi ultimi giorni di vita. Ma lui c’era stato, lui gli aveva dato un ultimo attimo di felicità.
    Perso nei suoi pensieri non si accorse che dalla stanza era appena uscita una ragazza che si stava dirigendo verso di lui, così non fece in tempo ad allontanarsi.
    ‒ Piacere ‒ disse lei ‒ sono Laura, la nipote di Antonio.
    ‒ Piacere. ‒ rispose lui educato.
    ‒ Tu chi sei? ‒ continuò lei.
    ‒ Mi chiamo Maurizio, sono un infermiere.
    ‒ Oddio, è successo qualcosa? ‒ si allarmò lei.
    ‒ No, stai pure tranquilla… volevo solo vedere tuo zio per l’ultima volta, ma non me la sento di entrare e togliere attimi ai suoi parenti, in fondo io non sono nessuno…
    ‒ Ma dimmi, come conoscevi mio zio? ‒ chiese la ragazza.
    Maurizio si voltò e rispose:
    ‒ E’ successo tutto per caso… lui era qui, era sempre solo… ‒ si perse nei propri ricordi ‒ l’ho visto giocare a scacchi, ma non aveva un compagno; mi ha insegnato, ma non riuscivo mai a vincere contro di lui. E’ stato l’unico che amico che avessi qui…
    Si accorse così che era lui stesso la persona che si era chiusa in se stessa, il re arroccato nel suo castello che aveva impedito a tutti di far breccia nel suo cuore. Solo a quella convinzione le lacrime represse sgorgarono finalmente libere a lenire il suo animo ferito. Di lui gli restavano i ricordi: le loro partite a scacchi, il profumo del sapone mentre giocavano, il quadro che gli aveva regalato e l’unica, nonché l’ultima risata che gli aveva sentito fare.
    ‒ Vai, ha bisogno di te.
    La voce di Laura arrivò a distoglierlo dai propri pensieri. La guardò nuovamente, vide il sorriso che le rivolgeva, incoraggiante.
    ‒ Non avere paura.
    Furono le ultime parole che sentì prima di entrare. Si avvicinò facendosi spazio tra la gente e sedendosi dall’altro lato delle due donne che non alzarono nemmeno lo sguardo. Maurizio sussurrò tra sé:
    ‒ Sei stato un buon amico e ottimo compagno di giochi. Sei stato una persona forte che non temeva di guardare la morte in faccia. Ora non hai più nulla di cui preoccuparti e per sempre potrai vegliare sui tuoi cari e proteggerli. Non chiedo altro. Non chiedo nulla per me. Sei stato un buon amico.
    Non si accorse che Laura era entrata e gli stringeva la mano in segno di conforto.

    “This Romeo is bleeding
    But you can’t see his blood.
    It’s nothing but some feelings
    That this old dog kicked up”

    [“Always”- Bon Jovi]

    Anonymous ha risposto 12 anni, 1 mese fa 0 Mago · 0 Risposte
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