Intervista a Marina Lenti, autrice de “L’Incantesimo in Chat”
Marina Lenti è autrice del saggio italiano “L’Incantesimo in Chat”, tra poche settimane nelle librerie italiane. Leggi di seguito l’intervista esclusiva che le abbiamo fatto.
1- Riguardo il tuo libro, perché il titolo “L’incantesimo Harry Potter”?
2- In cosa consiste il tuo saggio?
La scelta definitiva non è stata mia ma dell’editore. Io avevo proposto altri titoli: quello che mi piaceva di più era ‘Harry Potter: lo Schiantesimo che stregò i Babbani’. Forse un po’ troppo tecnico per chi però non è un potteriano accanito. Certo si sarebbe potuto aggiustarlo sostituendo ‘incantesimo’ a ‘schiantesimo’, ma temo che fosse comunque troppo lungo per l’editore.
Ad ogni modo, anche com’è ora, il titolo vuole esprimere chi è il vero protagonista della storia di Harry Potter: non il personaggio, non la Rowling, ma il Sogno di scrittrice seminato, fatto crescere e poi mietuto, attraverso il germogliare dell’Idea potteriana. Nel saggio questa Idea viene denominata Incantesimo, ed ecco spiegato il titolo. Viene tracciato, in maniera metaforica e un po’ fiabesca, il suo cammino: dall’aspirazione di bambina all’incontro con Harry (che è solo il mezzo espressivo dell’Idea) e al ‘confenzionamento’ dell’Idea dapprima sotto forma di libro, quindi sotto forma di film e infine sotto forma di ‘mania collettiva’. Il saggio, oltre a illustrare le sfaccettature della personalità di questa Idea, intende mostrare la forza di cui è dotata, perché dietro di lei c’è un Sogno, una forma di energia dirompente in gradi di muovere i fili con una determinazione senza eguali.
Detta così appare forse un po’ complicata, ma sono sicura che la lettura del saggio chiarisca molto meglio di qualsiasi giro di parole.
3- Come è nata questa idea?
Ah, qui, a differenza del Sogno della Rowling, nessuna magia: solo una proposta dell’editore : )
4- Perché gli adulti, come te, hanno una così grande passione per le storie di magia?
Beh, non tutti gli adulti. Però credo che HP piaccia a molti adulti per le ragioni più disparate, esattamente come accade ai ragazzi. Vedo HP un po’ come una scatola di cioccolatini: ognuno ha il suo preferito e benché la scatola li contenga tutti e benché ci piaccia la maggior parte dell’assortimento, il motivo dominante per cui compriamo quella scatola è proprio per la presenza di quel cioccolatino : )
Nel mio caso, il cioccolatino preferito sono le ambientazioni fantasmagoriche e le regole di cui è dotato il mondo magico. Aggiungo che a me le storie fantastiche sono sempre piaciute, fin da quando, appena imparato a leggere, mio padre mi regalò i primi libri di fiabe (senza i quali probabilmente non sarei qui a parlare ora di questo saggio : )). E crescendo non ho perso il gusto dell’immaginazione. Trovo anzi che chi si priva di queste cose faccia un gran torto alla propria personalità, anche perché l’immaginazione è una caratteristica naturale dell’essere umano, quindi non dandole sfogo si comprime una parte di se stessi. Del resto il pragmatismo estremo non nutre la mente e concedersi voli pindarici nel mondo della Fantasia non significa affatto rifiutare la Realtà.
5- Cosa ne pensi della trasposizione dei romanzi di JKR sullo schermo cinematografico?
Premetto che parlo da appassionata e non da critico cinematografico (il quale vede i film con occhi completamente diversi): come al solito, i film sono sempre meno belli dei libri, probabilmente perché ci fanno assistere alla visione altrui di quel libro, quando in mente abbiamo già la nostra. Personalmente conosco una sola eccezione a questa regola, ed è il film ‘L’Età dell’Innocenza’ di Scorsese: un film forse un po’ lento ma pieno di poesia, mentre ho trovato il romanzo parecchio deludente.
Ad ogni modo, io preferisco i film di Columbus per via dell’atmosfera fatata di cui sono dotati. L’hanno accusato di aver confezionato due film infantili e caramellosi, ma secondo me ha invece catturato la pura essenza di Hogwarts, che è costituita proprio da un’aura magica e dorata.
A Cuaròn riconosco il merito di aver tentato di dare una sua impronta mettendoci molto impegno (nel lavoro di ricerca per la stesura del saggio ho rivalutato il regista proprio vedendo tutte le cose che ha cercato di fare), però la pellicola ha toni troppo gotici per i miei gusti; inoltre i taglia e cuci operati con lo sceneggiatore danno un senso confusionario al lavoro. Per quanto riguarda il Calice, Newell ha avuto la sfortuna di dover adattare un libro molto voluminoso, per cui il difetto principale è il ritmo estremamente serrato, che si concede ben poche pause. Ma quel che contesto di più a Newell è di aver fatto sparire completamente la magia, proprio quella che Columbus ha profuso a piene mani. E’ vero che nel quarto film c’è un Torneo Magico, ma vi siete accorti che nel castello non c’è piu’ atmosfera, non ci sono i caldi giochi di luce dei primi film, e soprattutto, Hogwarts è diventata un guscio vuoto? Niente scale che si muovono, niente fantasmi, i quadri semoventi si vedono in una sola scena. Il castello vivente, che è uno dei fulcri della saga, è stato per così dire ‘ucciso’.
6- Gli attori che interpretano i film, hanno soddisfatto le tue aspettative?
Trovo che la maggior parte sia fisicamente molto vicina a quel che ci si immagina. Per quanto riguarda i ragazzi, la recitazione è senz’altro acerba. Nel corso dei film sono indubbiamente migliorati ma la strada è ancora lunga. Immagino che parte della difficoltà sia anche dovere portare sullo schermo emozioni mai provate. Prendiamo Radcliffe: la scena dove si dispera sul corpo di Cedric è assolutamente fasulla, osservatela bene; si capisce da come la recita che, per sua fortuna, il ragazzo non sa ancora cosa significhi osservare la morte di qualcuno vicino. Ed è anche giusto che sia così vista la giovane età, il senso di perdita è qualcosa che ci si dovrebbe augurare di imparare il più tardi possibile, ma questo si riflette sulla scena che ha dovuto recitare. Viceversa mi è parso perfetto nelle scene imbranate con Cho Chang: lì si capisce che sono situazioni che ha sperimentato sulla sua pelle, e quindi riesce a ricrearle bene anche a comando, nella finzione cinematografica.
Per quanto riguarda gli adulti, so di inimicarmi molti, ma secondo me Alan Rickman è troppo impostato nel ruolo di Piton. Lo vedo un po’ troppo rigido e caricato, mentre in altre pellicole, come ‘Dogma’, era assolutamente fantastico. E poi conciato così assomiglia un po’ a Renato Zero e quindi quando lo vedo mi viene sempre un po’ da sorridere su questa somiglianza: l’idea del “professore-cantante” è un’amenità che ‘sgonfia’ la severità caratteristica di Piton. Mi rendo conto che Rickman non ne ha nessuna colpa, ma credo che l’effetto, almeno per gran parte del pubblico italiano, sia inevitabile.
Anche la pur bravissima Emma Thompson, che normalmente apprezzo molto, l’ho trovata un po’ troppo sopra le righe nel ruolo della Cooman. Mi piacciono invece sia Harris che Gambon, e ho apprezzato anche la caratterizzazione di Allock da parte di Branagh. Trovo anche Isaacs perfetto per la parte, e la prova di Fiennes nel cimitero è stata ottima.
7- Qual è il tuo libro preferito?
Queste domande assolute sono un po’ difficili, perché ci sono tanti bei libri in giro. Ma se proprio devo fare una scelta, scelgo i due libri che mi sarebbe piaciuto scrivere: il Gabbiano Jonathan Livinsgtone e Il Piccolo Principe. Quest’ultimo è particolarmente straordinario perché a ogni età presenta chiavi di lettura diverse e stratificate: letto a trent’anni non ha il significato che gli attribuivi a venti o a dieci. E’ una caratteristica che lo rende praticamente immortale.
8- Quando hai incominciato a leggere Harry Potter? Come l’hai “scoperto”?
Qualche mese prima che si iniziasse a parlare di film, grazie alle indicazioni di una persona cara.
9- Secondo te, qual è stato il momento più importante della vita di Harry?
Senza dubbio il massacro di Godrick’s Hollow. Lì sono iniziati i suoi guai, lì ha perduto i genitori, lì ha ricevuto la cicatrice. E’ in quell’episodio che risiede la fonte di tutta la sua infelicità , del suo odio e della sua rabbia, così come il suo obbligo a confrontarsi con un nemico temibile come Voldemort, un cattivo molto ben strutturato che ho cercato di esaminare in dettaglio tratteggiandone un quadro dal punto di vista ‘criminologico’.
10- Qual è il tuo personaggio preferito?
Come tanti appassionati di questa saga, adoro Sirius Black. E’ vero che è un personaggio contraddittorio, e certo non un modello come può apparire un Albus Silente, ma mi piace perché è un personaggio tormentato – e le sue contraddizioni hanno una profonda ragione d’essere – ma è pur sempre positivo. Mi piace perché è un’idealista che è stato duramente bastonato dalla vita, come succede spesso agli idealisti, e che vuole la sua rivincita. Nel saggio l’ho paragonato un po’ a una figura come Edmond Dantés. Credo sia questa una grande parte del suo fascino presso il pubblico: il buono ingiustamente perseguitato che cerca la sua vendetta. Non so, forse ci aiuta a vivere la nostra parte ‘eroica’ all’interno della nostra personalità, quella che magari non abbiamo sempre il coraggio di esprimere nella vita quotidiana, perché è molto difficile essere eroi, nella realtà.
La decisione della Rowling di toglierlo bruscamente di mezzo dopo averlo riabilitato è servito solo a rendere questa figura ancora più eroica e immortale. Del resto, in termini artistici la tragedia appassiona di più del lieto fine (che comunque io amo molto), è un dato di fatto. Soddisfa meno, ma avvince di più.
11- Cosa ne pensi di Joanne Rowling?
Ammiro moltissimo la sua fantasia e la sua capacità di costruire storie con incastri geniali e millimetrici. Ammiro le ambientazioni e le regole del suo mondo magico. E ammiro anche la sua capacità di aver saputo rimboccarsi le maniche per uscire dalla situazione nerissima in cui si trovava e di aver avuto il coraggio di tentare col suo manoscritto.
Se devo fare una critica, non mi piace il suo voler privilegiare sempre la Gran Bretagna in tutte le scelte promozionali. Per non parlare della scelta di puntiglio di un cast interamente britannico. Se Hollywood avesse usato sempre questa regola, il cinema sarebbe stato privato, ad esempio, della più perfetta Rossella O’Hara che si possa immaginare. Alla britannica Vivien Leigh David Selznick avrebbe dovuto preferire Bette Davis, anch’essa in lizza per la parte, solo perché questa era americana e la storia di Via Col Vento narra della Guerra di Secessione? E Liz Taylor allora non sarebbe stata Cleopatra: avrebbero dovuto scegliere un’attrice egiziana anziché britannica, no? E Richard Burton nella parte di Marco Antonio? Ci sarebbe voluto Vittorio Gassman. Gli esempi sono infiniti, ma credo di aver mostrato l’assurdità del ragionamento. La contaminazione artistica non può fare che bene e dunque trovo questa politica veramente inconcepibile. Tanto più che anche in HP sono state fatte eccezioni, all’occorrenza: ad esempio per la figlia di Columbus, americana, è fra gli studenti di Hogwarts. Allora la regola in certi casi è flessibile?
E non sono d’accordo con chi giustifica questa scelta dicendo che un attore non britannico suonerebbe fasullo per via dell’accento: chissà quanti bravi attori ci sono, che vivono in UK da anni senza avere il passaporto britannico e che tuttavia parlano perfettamente l’Inglese .
12- Cosa ti aspetti dal suo ultimo romanzo?
Ah, la domanda da un milione di dollari. Se seguirà le linee che ha seguito finora, credo che si possano già fare delle previsioni, perché ci sono delle costanti, nella trama narrativa. Ma è un argomento di cui mi piacerebbe discutere una volta che sarà uscito il saggio e che avrete letto il terzo capitolo, quello che cerca di spiegare il castello concettuale della saga: le fondamenta, il tetto e i muri portanti della storia, insomma. Proprio perché in quel capitolo cerco di individuare le costanti che ho già menzionato. D’altro canto, la Rowling è una narratrice tutt’altro che prevedibile, quindi potrebbe disfarci tutta la costruzione all’improvviso, lasciandoci, al solito, con un palmo di naso.
Grazie Marina per la tua disponibilità!
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