Harry si trovò di fronte una piccola creatura con orecchie a pipistrello e due grandi occhi. Era un elfo domestico e si chiamava Dobby.
Cosa ci facesse lì, Harry lo capì poco dopo. Dobby serviva una famiglia di maghi, ma non poteva svelare chi. Ma da mesi sapeva che c’era in piano un complotto per far accadere cose orribili a Hogwarts quell’anno.
Dobby ammirava Harry Potter per essere un buono e aver scampato Voldemort già due volte e quindi voleva metterlo in guardia, persuadendolo a non andare ad Hogwarts. Per convincerlo in questo Dobby aveva perfino intercettato tutte le lettere di Hermione, Ron e Hagrid nella speranza che pensasse di non avere amici da incontrare.
Harry invece non vedeva l’ora di tornare ad Hogwarts, voleva finalmente stare lontano dai Dursely.
Quest’ultimi nel frattempo avevano a cena un importante cliente di zio Vernon, i signori Mason, con i quali lo zio sperava di concludere un grosso affare. Motivo per cui Harry era stato relegato in camera sua tutta la sera.
Dobby non riuscendo a convincere Harry prese una scelta drastica. Uscì fuori dalla camera e scese in cucina, fece volare in aria la torta che zia Petunia aveva preparato per la cena e poi la fece cadere a terra: un gran fracasso e panna su tutte le pareti. Dobby scomparve con uno scocchio.
Arrivo subito un gufo dal Ministero della Magia che notificava l’avvenuta magia in modo improprio: i minorenni non possono fare magia fuori da scuola. L’unica arma che Harry aveva per tenere a bada gli zii svanì di colpo.
L’affare di zio Vernon saltò e decise di punire Harry mettendo le sbarre alla finestra e lucchetti alla sua porta per impedirgli di tornare a Hogwarts.
Fu una delle notti successive che alla finestra, dietro alle sbarre, apparve un volto familiare: era Ron.
